DI ROSALIA MODUGNO Il periodo di Natale è carico di rievocazioni ed è per questo motivo che nei giorni dal 27 al 29 dicembre 2023 ho desiderato rivisitare un luogo caro della mia prima infanzia : Vitorchiano. Perchè visitare questo piccolo borgo medievale della Tuscia? Il motivo rievoca il lontano periodo in cui la mia sorella maggiore era costretta a recarsi con i miei genitori presso un centro di cure riabilitative per la poliomelite; Ariccia, nel Lazio. In molti di questi viaggi il nostro Parroco don Alberto Battaglia accompagnava i miei genitori che non avevano la patente di guida e si metteva a disposizione alla guida del suo pulmino Fiat 850; io in quel periodo ero la più piccola dei figli e per questo motivo andavo insieme a loro. Grazie al mio parroco ho conosciuto, in quelle occasioni, realtà come la Trappa di Frattocchie (monastero maschile Benedettino), molto vicina ad Ariccia, o come il monastero delle trappiste di Vitorchiano (monache Cistercensi). Quello di quest’ultima trappa è un ricordo che, se pur sfocato, mi evoca un benessere spirituale, una “ leggerezza dell’anima” che sono rinforzati dal ricordo della presenza del mio parroco e del suo pulmino. Eh, sì il pulmino 850 di don Alberto era anche il mezzo con cui noi bambini, che abitavamo “al di là del ponte del Carmine”, venivamo presi ed accompagnati in parrocchia per il catechismo e successivamente riportati a casa dallo stesso parroco. Era bella la sensazione di essere costretti in quello spazio così ridotto perché si provava l’appartenenza reciproca con gli altri “passeggeri” e si conoscevano le loro case man mano che si susseguivano le varie fermate dove venivamo lasciati o presi, quelli che abitavano su via Palo , quelli che abitavano alle “case contadine “ e su via Modugno… Don Alberto è stata la testimonianza della Chiesa in uscita, di quella che si prende cura delle persone coltivando la fiducia reciproca di genitori e bambini, giorno dopo giorno. Tanti sarebbero i ricordi dell’amore che don Aberto aveva per i suoi parrocchiani, tra gli altri mi è rimasto impresso il giorno della mia Prima Comunione. C’era l’atmosfera di una e vera propria festa perché dopo la celebrazione, nell’atrio della parrocchia di San Luca, venivavano apparrecchiati con cura i tavolini per i bambini mentre le “signorine“ catechiste della parrocchia, tra cui la carissima signorina Torricelli, offrivano una squisita colazione come “coccola” dopo il digiuno dell’intera mattinata in preparazione del primo Incontro eucaristico con Gesù”. Un ‘altra immagine che affiora, ogni qualvolta assisto ad una celebrazione del giovedì Santo, è quella di don Alberto che lava…letteralmente i piedi ai bambini (tra i più poveri del quartiere) e distribuisce loro, a fine messa, semplici doni, come pane ed arance, rappresentativi di una cura e di una generosità senza pregiudizi o pietismi di sorta. Anche nella preadolescenza il pulmino Fiat, diventato ormai metafora dell’accompagnamento di don Alberto, è stato fondamentale per dare un senso indimenticabile ai campi estivi sulle murge. In quelle estati ho imparato il “gusto” di mangiare pietanze a me sconosciute come la pasta al forno sui carboni preparate dalla signorina Masellis e ho assistito alla trasformazione di una stanza/stalla disadorna, in una spendida cappellina rivestita in pietra; è lì che è stato piantato il seme della preghiera congiunta alla vita. Don Alberto in preghiera al vespro dopo che aveva lavorato insieme a ragazzi della comunità parrocchiale per portare sulla carriola le pietre murgiane che avrebbero abbellito l’ex stalla e trasformarla in cappella. Questi esempi hanno dato il senso profondo di cosa significa essere cristiana; il senso del cammino comunitario senza pregiudizi, il modello di vita di un parroco in prima linea. L’esempio di parrocchia “ aperta” don Alberto l’ho ha dato accogliendo tanti, tra cui una coppia socialmente borderline, a cui erano stati tolti tutti i figli, tranne la più piccola che era riuscita a rimanere con loro perché avevano trovato alloggio presso alcuni locali della parrocchia di San Luca e protezione presso don Alberto, o ancora l’ospitalità di una giovane prostituta, con cui, grazie alla fiducia nella vita dei miei genitori e alla fiducia riposta in me da don Alberto, abbiamo trascorso, insieme a mia cugina Maria Pia, la notte di capodanno del 1981 per farle compagnia. Gesù ci invita ad osare e don Alberto è stato un testimone vivente dell’osare, di andare oltre le “ barriere”, perché oltre si sperimenta L’Amore, la Misericordia e il Perdono. Come dice Paolo Curtaz “osare ci rende liberi di cercare, di crescere e di amare” e due sono gli elementi per osare :” muoversi “, don Alberto non si fermava e il pulmino Fiat è stato un simbolo del suo andare e “sognare”, don Alberto non ha mai smesso di credere nell’essere umano. Grazie don Alberto perché “sono le opere che dimostrano la realtà di una persona”. Quando la vita di una persona attorno a sé irradia un amore che comunica , che restituisce vita, che arrichisce la vita, questa è la fede che si materializza”(tratto da La Fiducia – Incontro con A. Maggi – Ed. Romena).