Il fatto è accaduto probabilmente un paio di mesi fa, ma la certezza si è avuta nei giorni scorsi. Bitonto ha perso un fondamentale pezzo di storia e poco importa se era di proprietà privata. Ignoti hanno distrutto, senza se e senza ma e, soprattutto, senza un motivo che possa essere valido, Torre Ranocchia, databile presumibilmente al XV-XVII secolo, e situato a pochi chilometri dalla città, lungo un tratturo che si innesta sulla strada Bitonto – Palo del Colle.
Che cos’era? Una masseria-torre le cui origini erano incerte. Probabilmente è opera di mastro Matteo Lombardo di Verano, trasferito a Bitonto sul finire del 1600 e autore della torre di Minervino e del rifacimento della chiesa di San Luca. Nel “Catasto asburgico” del 1728 la torre risulta di proprietà della famiglia “Ranucchio”, soprannome divenuto poi cognome “Ranocchio”, con la variante locale di “Nanocchio”. L’edificio con pianta quadrangolare, si elevava su due piani comunicanti, all’interno attraverso una botola ed una scala a pioli. Il piano terra era destinato a stalla e deposito; il primo piano a soggiorno stagionale. Tra i vani interni, con soffitto a botte e a crociera, spiccava al primo piano un ambiente con volta lunettata, abbellito da affreschi a motivi floreali, di cui restano ampie tracce sul cadente intonaco. A pianterreno, un grande portale ad arco delimitava l’ingresso, un tempo presumibilmente adorno dello stemma araldico dell’omonima famiglia. L’accesso al primo piano grazie a una scala in muratura, era difeso da feritoie laterali e da una sovrastante caditoia, di cui restano soltanto le grigie mensole di sostegno. Al primo piano, i vari locali sono dotati di sedili in muratura, posti in corrispondenza delle caratteristiche finestre con stipiti in pietra.
Inutile dire che questo pezzo di storia era nel degrado più totale. “È una brutta questione – sottolinea lo storico Pasquale Fallacara, che su Facebook un mese fa ha parlato proprio della Torre – e per di più penale. Sicuramente ci sarà una causa anche perché si tratta di una struttura che era a vincolo, e questo vuol dire che i proprietari dovevano fare in modo che lo stesso non dovesse crollare. Non possono/potevano essere effettuati lavori arbitrari se non con il benestare della Sovrintendenza”.
Sulla vicenda si è alzato l’interesse anche del Centro ricerche di storia e arte bitontina.