La professoressa Maria Antonia Speranza era una creatura meravigliosa. Anni di insegnamento, tanti, con la passione e l’impegno di chi serbava un antico senso del dovere, oltre che profonda dedizione ad una missione oggi sempre più sbiadita. E, poi, le sue collaborazioni giornalistiche, sempre acute e indispensabili. Ella posava, infatti, uno sguardo di luce sulle meraviglie che osservava per tradurre un profondo, colto sentire in ariosi articoli magistrali. Era un baluardo invitto di grate memorie – commuoveva quando riviveva gli anni della sua gioventù di affascinante fanciulla -, che dipingevano una Bitonto, che, forse, per afflato e generosità, non esiste più. Non posso dimenticare, nella redazione di Primo piano, i siparietti spassosissimi con quell’altro gigante del cuore che fu Mimì Luiso. E lei a figurare accorata indignazione con materno piglio. “Apprezzata e premiata anche come poetessa, lascia una felice e fertile impronta in tanti noi”, ha scritto Marino Pagano. Nipote del grande pittore Francesco, era fiera di questa parentela, che quasi certamente aveva donato alla sua anima una spiccata inclinazione artistica. “Una vera signora, colta e ironica”, l’ha fotografata Alessandro Robles. “Guida e maestra di vita” per Carla Abbaticchio, mentre Emanuele Cazzolla ne ha sottolineato “lo sguardo luminoso, limpido, affabile, sincero”. “Generosissima del suo sapere e della sua amicizia”, l’ha definita Rosanna Schiraldi. Ecco, noi, ostinati, portiamo dentro questa preziosa gerla di ricordi. Ma il resto della città?