Un anno fa. Una notizia raggelante, nel pieno dell’estate. Una brava persona, un caro ragazzo, un volto noto, d’improvviso, ci lasciava. Il cinquantenne Angelo De Renzo veniva stroncato da un malore imprevisto. Il dolore dei parenti, il cordoglio degli amici, la vicinanza dei conoscenti.
Ma, stavolta, c’era di più: il tam tam dei ricordi cominciava a battere forte come un cuore che mai aveva smesso di palpitare di sogni e passioni. Senza pretesa di assolutizzazione del proprio vissuto, ma solo col desiderio lindo di smuovere un velo di polvere dalle grate memorie, tre impertinenti ex giovani Vincenzo Abbatantuono, Tommaso Padolecchia ed Emanuele Saponieri – in rigoroso ordine alfabetico – scossero un’intera tribù. Che non vedeva l’ora di essere risvegliata.
Dischi in vinile, bobine infinite, intere giornata passate in quelle stanze con le pareti rivestite di cartoni per uova, dediche sorprendenti e persino programmi giornalistici impavidi: insomma, tutta la congerie bellissima ed esaltante che faceva davvero comunità e che caratterizzò le radio private a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta del secolo scorso.
Senza alcuna pretesa di esaustività, perché i tre volevano raccontare – con l’aiuto di tanti amici, fra i quali Francesco Cambione e Nicola Vacca – il “loro” universo e basta, nacque per i tipi della Secop Edizioni di quel vulcano inesauribile di Peppino Piacente, nella Collana “Sotto i riflettori della parola“, “Bande libere. Dalle radio libere alle radio private“, col nobile intento di dedicarlo appunto a due insigni coprotagonisti di quell’epoca d’oro: Vincenzo Angelo De Renzo e Maurizio Loragno.
Ed è questo che, forse, oggi sfugge: tutto quel che nasceva dentro anime spensierate e leggere volava dentro cieli onirici colorati dell’azzurro puro del bene.
Senza bisogno di whatsapp, iphone e intelligenza artificiale…