Campo 65. Un’area di 31 ettari sulla statale 96 tra Altamura e Gravina in cui, nel 1942, sorse il più grande campo di prigionia realizzato in Italia dal regime fascista. Accogliere prigionieri di guerra appartenenti agli eserciti che, all’epoca, combattevano l’Italia sul fronte nordafricano. Oggi è uno dei luoghi pugliesi della memoria, gestito dall’associazione Campo 65. Ne parlerà questa sera, alle 18.30 nella Sala degli Specchi del Municipio di Bitonto, il presidente Domenico Bolognese, nel secondo degli appuntamenti organizzati dalla sezione cittadina dell’Anpi, da partito Democratico, Partito Socialista Italiano e amministrazione comunale. L’incontro si inserisce nel ciclo di appuntamenti organizzato nell’ambito dell’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Celebrazioni che avranno il culmine domani, con il tradizionale corteo che partirà da Palazzo Gentile e si concluderà con la deposizione di un omaggio floreale al cippo commemorativo in Villa Comunale, dedicato alla partigiana fiorentina Irma Marchiani, nome di battaglia Anty.
Ad inaugurare il ciclo di eventi, ieri, Ferdinando Pappalardo, già senatore e vicepresidente nazionale dell’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia, intervenuto sul tema “Ottanta anni di impegno per la libertà e per la democrazia”.
Dialogando con il professor Vincenzo Robles, Pappalardo si è chiesto: «Ad ottanta anni dalla Liberazione, sono stati raggiunti tutti gli obiettivi che si pose il fronte antifascista prima e, poi, l’assemblea costituente?».
Una domanda a cui, purtroppo, la risposta è negativa, perché, spiega l’ex senatore, non solo molti obiettivi non sono stati raggiunti, ma ci sono stati molti passi indietro negli ultimi decenni: «La storia d’Italia è una parabola che ha il suo culmine negli anni Settanta. È vero che fu un decennio terribile, caratterizzato dalla violenza quotidiana, ma in quegli anni si raggiunsero molti obiettivi importanti, come lo Statuto del Lavoratori, la nascita del Servizio Sanitario nazionale, l’introduzione dei diritti al divorzio e all’aborto. Poi, però, è iniziata una parabola discendente. Le diseguaglianze sono tornate a crescere».
Per pappalardo, si sono progressivamente persi quel senso di solidarietà e quei legami sociali che avevano portato a grandi conquiste, sull’onda di un sempre più diffuso egoismo che intende la libertà come un diritto a fare «tutto quel che ci pare e che ci fa comodo».
Un edonismo che guarda solo ai diritti e non ai doveri.
«Quella non è libertà e questa non è la repubblica che avevano sognato i partigiani» tuona, ricordando il loro ruolo nella nascita della nostra carta costituente, «tra le più avanzate tra quelle esistenti».
«È vero che non c’è la parola “antifascismo” nella nostra Costituzione, ma è talmente scontato che dovesse essere antifascista che nessuno ha ritenuto di doverlo specificare – continua -. Senza la lotta partigiana contro quello che, all’epoca, era l’esercito più potente d’Europa, senza il contributo dei soldati che rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò, senza i cittadini italiani che collaborarono con i partigiani, non ci sarebbe stata la Costituzione. Tant’è vero che tra le forze dell’asse, l’Italia fu l’unica a cui fu concesso di farsi la sua carta costituzionale. Lo stesso non avvenne per Germania e Giappone, dove fu scritta dalle potenze vincitrici».
Il vicepresidente dell’Anpi conclude il suo intervento parlando delle guerre che infestano oggi il mondo: «La guerra non è mai sparita in Europa e, nel mondo sono 57 i conflitti. Continuano le pretese di alcuni stati di agire come imperi. Se spendiamo sempre più per riarmarci, oltre ad esserci seri rischi che la guerra scoppi davvero, si spenderanno meno soldi per sanità, istruzione, pensioni».