Le
buone nuove sono tre.
Uno. La Galleria nazionale “Girolamo e Rosaria Devanna”,
l’unica presente in Puglia, non si muoverà da Bitonto.
Due.
I privati che hanno acquisito (legittimamente) i due “famigerati”
locali del Palazzo Sylos-Calò confermano l’intenzione di collaborare
per una loro valorizzazione culturale (lo si era venuto a sapere già
ieri mattina http://bit.ly/2iEJAiO).
Tre. Sempre i famigerati locali, dunque, restano privati ma saranno
utilizzati per scopi pubblici. E l’idea (per adesso è solo tale) è
quella di adibirli a book shop o gadgets shop.
Ieri
mattina, nella casa comunale, l’amministrazione (c’erano il sindaco, Michele Abbaticchio, l’assessore al Marketing Territoriale, Rocco
Mangini, il titolare al Patrimonio, Michele Daucelli. E vi era anche Valentina Leccese, nipote di Girolamo Devanna) ha tentato di fare
chiarezza sull’Affaire Galleria,
cercando di diradare tutti i
dubbi e le polemiche scatenatesi nei giorni scorsi soprattutto sui
social network, e di rassicurare tutti sul futuro di uno dei nostri
tanti orgogli.
“Siamo
vicini – esordisce il primo cittadino – e condividiamo la posizione di Girolamo Devanna, perché anche noi
non capiamo come, dopo tanto tempo, il Mibact non abbia ancora
mantenuto gli impegni presi”.
Già,
il Mibact. Il ministero dei Beni culturali – Segretariato regionale
– ha le sue responsabilità perché da anni, secondo precisi
accordi, deve garantire che il palazzo rinascimentale Sylos-Calò
(nel frattempo ceduto dal Comune proprio al Demanio, ndr) sia
completamente pronto e attrezzato per la raccolta – 229 dipinti e
108 disegni databili dal ‘400 al ‘900, quindi esempio prezioso di
pittura moderna e contemporanea – del mecenate Devanna.
Ma
dopo tanti anni così non è.
Perché
dovrebbe riadattare i sei locali acquistati nel 2014, ma non lo fa.
Perché si è completamente dimenticato di altri due piccoli locali
di 20 mq ciascuno, e perciò – a suo avviso – inadatti per
l’esposizione, ma che potevano essere adibiti soltanto a
biglietteria.
Anche
per questo, allora, non solo non ha mai accantonato finanziamenti per
acquistarli, ma non ha neanche mai esercitato il diritto di
prelazione, facendoli restare in mano privata. Con tanto di lettera
inviata, a fine settembre, all’Ufficio Patrimonio del Comune,
avvisando della vendita. Da privato a privato.
E
il Comune? Cosa poteva fare?
Niente,
legge alla mano. Non poteva (e non può) comprare quei locali. “Un
decreto legislativo del 2014 – ribadiscono Abbaticchio e Daucelli – impedisce ai Comuni di acquisire immobili, se non è provata
l’assoluta emergenza”.
Più
precisamente il decreto recita questo: “In
merito al requisito dell’indispensabilità,si chiarisce che lo stesso attiene all’assoluta necessità di
procedere all’acquisto di immobili in ragione di un obbligo
giuridico incombente all’amministrazione nel perseguimento delle
proprie finalità istituzionali ovvero nel concorso a soddisfare
interessi pubblici generali meritevoli di intensa e specifica
tutela”.
Da
Palazzo Gentile, però, si mobilitano subito per risolvere la spinosa
questione. Cercando di arrivare a un accordo che soddisfi sia i
privati sia l’interesse pubblico.
“I
locali restano privati – scandisce
Mangini – ma
saranno utilizzati per fini pubblici. La nostra idea è quella di
utilizzarli con un’associazione di cittadini, magari presieduta da un
membro della famiglia Devanna, e adibirli a gadget shop, book shop, o
magari una sala di formazione”.
Affaire risolto, allora?
Ma
resta un dubbio, però: cosa sarebbe successo se Girolamo Devanna non
avesse denunciato la situazione alla stampa? Come sarebbe stata
risolta la questione?