I loro nomi, a Casalecchio di Reno, nel bolognese, non li potranno mai dimenticare perché sono quelli di 12 angeli volati in cielo in modo assurdo.
Sì, assurdo. E l’assurdità sta sia nella vicenda, che sembra incredibile se raccontata oggi, a ben 28 anni di distanza, sia perché i colpevoli materiali, nonostante ci siano nomi e cognomi, e pure le facce, non sono mai stati ritenuti tali dalla Giustizia italiana.
Eccoli, allora: Deborah Alutto, Laura Armaroli, Sara Baroncini, Laura Corazza, Tiziana de Leo, Antonella Ferrari, Alessandra Gennari, Dario Lucchini, Elisabetta Patrizi, Elena Righetti, Carmen Schirinzi, Alessandra Venturi.
Tutti avevano 15 anni. Tante belle speranze e ancora la gioia di vivere. E pensavano che quella maledetta, maledettissima mattina sarebbe stata come tante altre: una normalissima giornata di scuola.
Così, invece, non sarà, perché i fatti sono andati in modo diverso. Tragicamente. Quel 6 dicembre 1990 è una giornata fredda, ma serena. Tutto appare normale a Casalecchio: il traffico, i negozi affollati, l’attività di tutti i giorni fuori e dentro la scuola. Nella succursale dell’Istituto “Gaetano Salvemini” – 200 ragazzi tra i 14 e i 18 anni – sta per suonare l’intervallo. La classe 2°A si avvia a concludere la lezione di tedesco quando, improvvisamente, la normalità non esiste più, e in un attimo si consuma la più grande strage di adolescenti in tempo di pace. Un aereo militare di addestramento, un MB 326, partito da Verona, pilotato dal sottotenente (oggi tenente) Bruno Viviani centra in pieno il primo dei due piani della scuola provocando una voragine di diversi metri di diametro. Si capisce subito che è una strage. Cento alunni più i professori rimangono bloccati dalle fiamme al piano più alto e liberati dai Vigili del Fuoco e dai soccorsi arrivati sette minuti dopo lo schianto.
Ad avere la peggio proprio gli alunni della 2°A, morti in 12 e salvatisi soltanto in quattro più l’insegnante di tedesco. Oltre ai dodici morti ci sono stati 88 ricoverati, e 72 feriti hanno riportato invalidità permanenti in misura variabile tra il 5 e l’85 per cento.
Le indagini sull’accaduto non hanno mai fatto chiarezza sui perché. Anzi sì. Secondo la giustizia italiana si è trattato di un tragico incidente.
Ricostruendo la dinamica, infatti, si è capito che l’aereo è stato colpito da un guasto tecnico, ed è per questo, allora, che il processo ai danni del sottotenente Viviani (al momento dell’impatto, però, lui aveva già lasciato il velivolo gettandosi in volo, salvandosi riportando solo qualche frattura), al colonnello Eugenio Brega e al tenente colonnello Roberto Corsini, si è concluso con la piena assoluzione perché “il fatto non costituisce reato”.
E la Cassazione, nel 1998, ha rigettato gli ultimi ricorsi dei familiari delle vittime.
“La sensazione – ha rivelato uno di loro intervistato da un giornale bolognese – era che fosse colpa dei nostri figli il fatto di trovarsi a scuola in quel momento fatale. Lo Stato ha difeso chi aveva provocato la tragedia, e noi genitori abbiamo pagato i nostri avvocati per poi vedere annullata la condanna a trenta mesi data al pilota nella prima sentenza. Una serie di errori eclatanti secondo noi”. Ma nessuno può farci nulla, ormai.
Dopo l’incidente, l’edificio è stato ricostruito come “Casa della Solidarietà” ospitando le associazioni di volontariato locale e la sede della Protezione civile nonché della Pubblica Assistenza. L’aula della strage, quella della 2°A, è stata nominata “Aula della Memoria” e la parete sventrata dall’aereo ricostruita sotto forma di finestra, lasciando intatto l’enorme foro lasciato dall’impatto.