Quella di questa domenica, ultima del mese di maggio, è una storia entrata pure nei cinema. Non perché sia bellissima, tutt’altro. A riecheggiarla, anzi a citarla, è stato quel genio di Steven Spielberg, che nel 1977 sbanca i botteghini con “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, considerato uno dei film più belli della cinematografia d’oltreoceano e riempito pure di oscar e premi vari.
La pellicola si apre con i protagonisti che ritrovano i resti della “Squadriglia 19”, indagando poi sul perché di quella disgrazia. Squadriglia 19? No, non è un gruppo scalmanato di mezze calzette, ma era – si era -, un insieme di 14 aviatori misteriosamente scomparso nel nulla nel bel mezzo del Triangolo delle Bermuda nel 1945. E, ovviamente, mai più ritrovato.
Un ennesimo caso di mistero su cui il buio è ancora fittissimo e invalicabile.
Cosa accade, allora, quel maledetto 5 dicembre di 75 anni fa? Poco dopo le 14, cinque Grumman TBF Avenger partono dalla loro base per una esercitazione di volo e bombardamento, chiamata “Problema di navigazione n.1”. Il volo avrebbe dovuto permettere a 14 allievi aviatori di provare la “Navigazione stimata”, cioè la navigazione utile a comprendere la nostra posizione esatta utilizzando come punti di riferimento velocità, direzione e senso.
Per sua natura, questo tipo di tecnica è sempre affetta da errori di valutazione, ma i 14, tutti con circa 300 ore di volo alle spalle, potevano fare affidamento su una guida espertissima come Charles Carroll Taylor, pilota e veterano con esperienze pregresse sulla zona. Il quale Taylor, però, avrebbe dovuto limitarsi ad osservare, intervenendo solo in caso di errore.
La rotta era già stata stabilita, tutti gli aerei avevano il pieno, il tempo favorevole, il mare agitato. Per la prima ora, tutto procede secondo quanto era stato minuziosamente preparato.
Dopo, però, il volo prende una piega drammatica. Le conversazioni radio rintracciate dalla base e dagli altri aerei cominciano a rivelare una certa preoccupazione: uno degli allievi fa notare di non sapere dove si trovassero in quel momento. I messaggi continuarono a rimbalzare, mostrando una situazione sempre più disperata.
Contemporaneamente, il tempo peggiora, rendendo i contatti molto più difficoltosi, e si capisce che qualcosa di pesante è accaduto.
Ed ecco, allora, che un PBM Mariner con un equipaggio di 13 membri inizia le ricerche dei dispersi, ma va soltanto a rendere ancora più drammatica la storia. Perché, qualche ora dopo, infatti, arriva la notizia dell’esplosione del mezzo di salvataggio e la morte di tutti i passeggeri.
Morale della favola, allora: in poche ore si sono persi sei aerei e ben 27 aviatori.
Cosa è successo, allora? Le solite, tantissime ipotesi, si fanno avanti.
Chi ha investigato sul caso è orientato a ritenere che la responsabilità dell’errore sia da imputare a Taylor il quale, confondendo le Bahamas con le Florida Keys, aveva portato i suoi uomini ancora più a nord est, uscendo dal percorso stabilito ed ordinando un ritorno verso ovest quando ormai il limite del carburante era stato superato.
Ma c’è chi ha fantasia, perché tra gli anni ’60 e ’70, non sono pochi a ritenere questo incidente come uno dei più significativi segnali della presenza di qualcosa di strano dentro il Triangolo delle Bermuda. E frutto – ed è questo anche il filo conduttore del film di Spielberg – non proprio di sfortunati eventi casuali, ma un primo ipotetico contatto tra esseri umani ed extraterrestri.