«Ho vissuto cose bruttissime. Voi non cascateci. Fate in modo che non ci siano altre guerre».
Queste parole risuonarono improvvisamente durante una commemorazione dei caduti della Prima Guerra Mondiale, nel novembre 2018. A pronunciarle un relatore non previsto dagli organizzatori. Era Emanuele Coviello, classe 1924, energico signore che un conflitto mondiale, il secondo ovviamente, lo aveva vissuto sulla propria pelle. E proprio per questo motivo desiderava un mondo senza la follia della guerra. Un mondo in cui nessuno sarebbe stato più costretto a vivere l’orrore a cui i suoi occhi avevano assistito sia sul fronte, sia in quei maledetti campi di concentramento nazisti in cui, dopo l’armistizio dell’8 settembre ‘43, migliaia di soldati italiani come lui furono rinchiusi.
Un sogno, il suo, che lo spingeva a partecipare a tutte le manifestazioni in memoria dei caduti, per rendere omaggio a chi non aveva avuto, come lui, la fortuna di tornare a casa, e per lanciare il suo monito ai giovani affinchè non cedano nuovamente alla retorica della guerra, che tanta sofferenza ha portato nei cuori di chi l’ha vissuta: «Immaginate i sacrifici fatti dai genitori per metterli al mondo e per crescerli, per poi vederli morire come cani».
Un monito che, per lui, era quasi un dovere. Anche se, dopo oltre 70 anni, quei ricordi continuavano a fargli male. Sentiva l’obbligo morale di raccontare l’orrore vissuto specialmente ai ragazzi, che la guerra la vedono solamente attraverso degli schermi. Un orrore fatto di fame, sete, umiliazioni, amici uccisi davanti ai suoi occhi, estenuante lotta per la sopravvivenza, costante paura di morire.
«Sono stato strappato dalla mia famiglia come un agnello viene strappato dalla madre, per andare a soffrire in quella maledetta Germania di allora, dove ci davano solo il pane da mangiare. Neanche le patate, perché servivano più ai tedeschi» disse ai giornalisti a cui mai si negava. Anzi, tutt’altro. Spesso era necessario fermarlo, altrimenti avrebbe parlato per ore e ore a ruota libera. Raccontava, come se fossero eventi recenti, della sua esperienza tra gli orrori della guerra, della follia imperante nei campi di concentramento tedeschi: «Vidi un prigioniero russo approfittare della distrazione di un soldato tedesco per raccogliere da terra un torso di mela tutto sporco e mangiarlo. Ricordo ancora la scena di un ragazzo che tentò la fuga, ma fu raggiunto dai colpi delle mitragliatrici tedesche».
Orrori che continuavano a tormentarlo dopo tanti anni.
Un vero e proprio scrigno contenente un tesoro prezioso: la Memoria. Non solo della guerra, ma anche della difficile vita nella Bitonto del dopoguerra, dei tumulti a cui lui stesso aveva assistito: «La guerra era finita, ma c’era un altro conflitto da combattere. Quello contro la miseria». E contro chi sfruttava i tanti disperati: «Ci davano quattro soldi. Ci mettevano in condizioni di miseria. Era necessario ribellarsi. Eravamo andati in guerra per difendere la patria dei ricchi, non quella dei poveri».
Chi scrive ha avuto l’onore di ascoltare più volte quei suoi ricordi e avrebbe voluto farci tante altre chiacchierate. Ma ormai il signor Emanuele non è più tra noi. Se ne è andato in un momento nefasto per l’Europa, che vive ancora una volta l’orrore della guerra al suo interno, tra due popoli fratelli. Lui, che già lo conosceva quell’orrore, era preoccupatissimo per le generazioni future, per i tanti ragazzi strappati alle famiglie e mandati a morire come anonime pedine sacrificabili. Oggi come 80 anni fa. Quel mondo di pace che lui tanto sognava, purtroppo, è ancora lontano dal realizzarsi.
Emanuele se ne è andato con le sue preziose e generose testimonianze che lui raccontava sempre con molto piacere, animato dal dovere etico di preservare la memoria, per far sì che gli orrori vissuti rimanessero confinati in un passato doloroso ma, appunto, “passato”. Se ne è andato lasciando una grandissima responsabilità a chi resta. Impegnarsi affinchè quella testimonianza sopravviva al testimone. Affinchè non svanisca “come lacrime nella pioggia” per usare una nota citazione cinematografica. Affinchè anche le generazioni future conoscano a quali abomini portino guerre e dittature.
Ad Emanuele non resta che dire “Grazie”.