Occhi negli occhi, con i sorrisi stampati sulla labbra ancora coperte dalla mascherina. Finalmente distanti solo pochi metri.
Dopo mesi bui, in questi giorni, gli ospiti di Villa Giovanni XXIII stanno tornando a rivedere la luce, a ritrovare i propri cari.
I giardini della Fondazione sono diventati la cornice degli incontri così tanto desiderati, progettati dall’ente e ora finalmente possibili.
“Con l’arrivo della primavera e delle alte temperature, avevamo già pensato di regalare agli anziani, ai disabili e alle loro famiglie l’opportunità di ritrovarsi all’aperto. Eravamo quindi già pronti prima dell’ordinanza” confessa Nicola Castro, direttore della Fondazione nonché presidente pugliese dell’ANSDIPP.
Da pochi giorni, il governo ha concesso ufficialmente ai parenti di far visita a chi è ricoverato in una struttura residenziale, purché possano esibire il “Green Pass”, ossia dimostrare di essersi sottoposti alla doppia vaccinazione, di essere guariti dal Covid o, ancora, di essere negativi al tampone rapido effettuato nelle 48 ore precedenti all’incontro.
Misure giudicate da Castro eccessive per i ritrovi all’esterno, ma troppo caute per le visite agli allettati all’interno della struttura.
“Entrare in una Rsa solo con la mascherina, per me non è sufficiente e chiederò ai cari degli ospiti di indossare anche calzari e visiera – ha commentato -. Non comprendo perché per l’interno ci siano regole relative ai dpi così a maglie larghe, mentre per l’esterno, dove c’è distanziamento, igiene e mascherina, viene richiesto lo stesso ‘certificato verde’ che si richiede per i luoghi chiusi”.
Ancora più paradossale è poi la possibilità data agli ospiti di tornare a casa: “Un operatore dovrebbe presidiare l’incontro in struttura, però poi si consente che l’ospite torni a casa. Chi controllerà cosa avviene? Forse non si è ancora compreso che non siamo usciti del tutto dalla pandemia”.
Il Covid d’altronde è stato conosciuto da vicinissimo da Villa Giovanni XXIII.
“È stato il periodo più brutto della nostra vita. Nonostante avessimo rispettato tutti i protocolli, e anzi avessimo fatto anche più del previsto, il virus è riuscito ad entrare in Casa. Faremo di tutto per evitare che ciò riaccada”.
La Fondazione infatti è già pronta ad adottare misure ancora più stringenti, anche per le nuove accoglienze, ora permesse.
In particolare, secondo la norma, un anziano, che abbia già superato il Covid o che sia stato vaccinato, potrebbe entrare in struttura senza effettuare test molecolare né quarantena.
“Noi continueremo ad andare avanti con le vecchie procedure, per evitare il rischio di nuovi focolai”.
Tutta la struttura sarà inoltre a breve completamente protetta.
Tra fine maggio e giugno, a tre mesi dalla guarigione, gli anziani già contagiati (circa il 95%) potranno ricevere la prima e unica dose di vaccino. Lo stesso avverrà anche per circa la metà dei dipendenti che già hanno affrontato la battaglia contro il Covid.
A garantire ancora più sicurezza, lo screening quindicinale su tutto il personale. Pratica che continuerà, e sarà allargata anche sugli ospiti, secondo normativa.
“Ma non è specificato chi si dovrà far carico delle spese” ha sottolineato Castro.
Ad oggi, infatti, nessun aiuto è arrivato dalle istituzioni.
I responsabili delle strutture, in questa fase, hanno chiesto alla Regione di sostenere gli sforzi che le Rsa stanno compiendo da tempo e che assicuri l’approvvigionamento dei dpi: “Finora non ci è stata data nessuna risposta. Proprio oggi è arrivata una richiesta per compilare una manifestazione di interesse alle indennità, che spetterebbero solo alle strutture semi-residenziali, per il periodo dal 17 marzo al 31 luglio 2020. Ma le strutture residenziali che hanno sopportato costi ingentissimi in termini di sanificazioni, dpi, chiusure, non sono calcolate? Aggiungiamo che, in maniera giusta, abbiamo liberato 4 stanze singole per consentire l’isolamento dei casi accertati, 3 per i casi sospetti, per un totale di 7 posti letto che al mese valgono circa 20 mila euro”.
Persino il decreto Sostegni non aiuta.
“Per ottenere l’indennità avremmo dovuto avere come minimo un calo del 30% del fatturato. Tradotto, avremmo dovuto avere una perdita enorme, che per noi avrebbe significato il fallimento”.
In altre Regioni “hanno fatto una cosa semplicissima – ha concluso Castro – fino al termine della pandemia la tariffa pagata dall’Ente alle strutture è stata aumentata di circa 2 euro al giorno, in modo da sostenere le spese vive. Qui invece nulla è stato pensato per sostenerci”.