Cari lettori
ben trovati al consueto appuntamento con la mia rubrica.
Oggi parliamo di violenza ostetrica. In Italia se ne parla poco..molti non sanno neanche cosa esattamente sia.
In Italia è i 21 % delle mamme con figli da 0 a 14 anni a dichiarare di aver subito violenza ostetrica durante il parto.
A rivelarlo mercoledi 20 settembre scorso è stata la prima indagine nazionale sul fenomeno in Italia,realizzata dall’istituto di ricerca Doxa e da Ovoitalia(Osservatorio sulla violenza ostetrica in Italia).
Cosa è esattamente la violenza ostetrica? La violenza ostetrica, secondo le linee guida fornite dall’Oms, è “l’appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario” e può manifestarsi nella costrizione a subire un cesareo non necessario, un’episiotomia non necessaria, a partorire sdraiata con le gambe sulle staffe, nell’esposizione della donna nuda di fronte a una molteplicità di soggetti, nella separazione della madre dal bambino senza una ragione medica, nel mancato coinvolgimento della donna nei processi decisionali che riguardano il suo corpo e il suo parto, nell’umiliazione fisica o verbale della donna prima, durante o dopo il parto.
Questa definizione, tramite un questionario, è stata sottoposta a un campione di mamme italiane, rappresentativo di donne tra i 18 e i 54 anni con almeno un figlio tra 0 e 14 anni, provenienti da varie aree geografiche del nostro paese.
Il 21 per cento di loro (pari a un milione di madri sui cinque milioni stimati) ha dichiarato di aver subito violenza ostetrica così definita.
La violenza ostetrica, dunque, non viene praticata dalle ostetriche: il termine si riferisce all’abuso che avviene nell’ambito generale delle cure ostetrico-ginecologiche e che può essere realizzato da tutti gli operatori sanitari che prestano assistenza alla donna e al neonato (ginecologo, ostetrica o altre figure professionali di supporto).
La violenza ostetrica, poi, ??non fa riferimento a situazioni in cui gli operatori sanitari agiscono deliberatamente per ferire o abusare, ma a situazioni di normalità e non emergenziali: ha dunque a che fare con l’imposizione spesso standardizzata di cure o pratiche alle donne senza il loro consenso, senza fornire le adeguate informazioni e talvolta contro la volontà di quelle stesse donne.
I dati dicono che per 4 donne su 10 (41 per cento) l’assistenza al parto è stata lesiva della loro dignità e integrità psicofisica. In particolare la prima esperienza negativa vissuta durante la fase del parto è risultata la pratica dell’episiotomia, subita da oltre la metà (54 per cento) delle donne intervistate.
L’episiotomia è un’incisione chirurgica del perineo, l’area compresa tra la vagina e l’ano, praticata durante il parto per allargare l’apertura vaginale quando la testa del bambino comincia ad affacciarsi verso l’esterno.
L’OMS la definisce una pratica «dannosa, tranne in rari casi». In Italia 3 partorienti su 10 negli ultimi 14 anni (cioè 1,6 milioni di donne e il 61 per cento di quelle che hanno subito un’episiotomia) hanno dichiarato di non aver dato il loro consenso informato per autorizzare l’intervento.
Il rischio di un’episiotomia sono dolori post partum, la difficoltà che può durare anche settimane prima di riuscire a sedersi e a camminare normalmente e, infine, problemi e dolore nei rapporti sessuali dopo il parto.
A maggio 2016 è stato presentato un disegno di legge sui diritti delle partorienti. Il testo si intitola”Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico” ed è attualmente in esame alla Commissione affari sociali della Camera.
La proposta è di trasformare la violenza ostetrica in reato.
Nell’attesa che la legge si adegui ,sono diverse le organizzazioni di mamme che sono intervenute contro questo tipo di violenza.
“Bisogna mettere la partoriente al centro, non la patologia, anche perché si tratta di una gravidanza, che non è una malattia.”
Per dubbi o curiosità non esitate a contattarmi a rubriche@dabitonto.com