Il professor Giuseppe Moretti – per molti amici, Peppino – era un intellettuale autentico.
Nel senso etimologico del termine, usava l’intelletto per leggere fra le righe il mondo che lo circondava, studiare le tradizioni che tanto lo appassionavano, e scrivere prose e liriche soavi e dolenti.
Non disdegnava neppure il confronto con i rappresentanti insigni della cosiddetta intellighentia butuntina, prendendo spesso posizioni scomode su questioni che riguardavano la comunità. Di più, amava di un amore disinteressato e puro la sua culla, Bitonto, che ossequiava con le parole – anche quelle della sua storia secolare, il dialetto -, con onirici colori e note sublimi.
E’ stato, quindi, doveroso l’omaggio reso dalla città, il penultimo giorno dello scorso anno, che si è svolto presso un Teatro Traetta gremito di emozionati concittadini del prof.
L’occasione è stata propizia per presentare i due volumi inediti che raccolgono numerosi testi e disegni dell’autore dal titolo “Vetònde: poesie in vernacolo bitontino” e “La vàuce d’ajire: detti, proverbi e tradizioni”.
Dopo i saluti istituzionali del sindaco Michele Abbaticchio e dell’assessore alla Pubblica istruzione Vito Masciale, si sono tenute le pregnanti (e, a tratti, toccanti) prolusioni del professor Nicola Pice, “La poesia dialettale di Giuseppe Moretti”, e di Oronzo Maggio – benemerito facitore e divulgatore di cultura -, “La vita come religione”, che ha curato anche le introduzioni delle due opere.
Ha incantato i presenti l’intermezzo musicale a cura di Vincenzo Mastropirro, flautista di grande talento, e Domenico Bruno, pianista eccelso.
L’anima di Moretti, infine, s’è fatta sillabe e stupore grazie alle voci recitanti di Damiano Bove (devoto allievo), Carmela Cannito e Luciana Labianca.
La voce solista di Tina Masciale ha provveduto a fare della serata un piccolo, necessario capolavoro sentimentale.