Quando tutto era compiuto e il sole, felice d’aver sorriso per tutto il pomeriggio, piano declinava per andare di lì a poco a dormire sotto un lenzuolo di stelle, Ciccio ha posato la mitra, ha calzato lo zucchetto e, con passo pensoso, ha raggiunto il leggio.
La voce tremava un poco: “Provo a dirvi qualcosa, carissimi che siete qui presenti ed avete voluto partecipare alla mia consacrazione episcopale. Le parole mi mancano…
Non so se riuscirò a seguire quanto avevo preparato.
Ora tutto è diverso“.
La gratitudine è un fiume che torna alla fonte che ha fatto scaturire amore: “Vorrei ringraziare tutti senza tralasciare nessuno. E mi rivolgo, innanzitutto, a Colui che è il senso della mia vita: al mio amato Gesù. Per dirgli: Gesù bello, grazie!
Ho imparato a conoscerti e ad esprimerti il mio affetto e la mia adorazione nel sacramento dell’Eucaristia, in seno alla Comunità parrocchiale dove sono stato educato dall’esempio di sacerdoti e di uomini e donne straordinari per la fedeltà a Te e alla tua Chiesa.
Bello il giorno in cui ho compreso che Tu, Signore, mi chiamavi in una relazione ravvicinata!“.
Il ricordo di una ricerca agostiniana, tutt’altro che pervia e facile: “Molti amici presbiteri e laici mi hanno sostenuto nella preparazione teologica fino al momento della consacrazione sacerdotale.
Sapevo che stavo facendo una scelta difficoltosa, ma non potevo prevedere il mio smarrimento, la “paura”, che avrei provato dicendo “lo voglio!”.
Allora lo dicevo con l’entusiasmo giovanile e l’energia che ti fa contare anche sulle tue forze.
Oggi, l’ho ripetuto tante volte, ed ogni volta mi tremavano le gambe.
E la mia resa incondizionata alla chiamata che tu, Signore, mi ripeti continuamente, mi stupisce e mi stupisce anche la mia risposta.
Con timore e tremore rispondo “eccomi!” e mi meraviglio io stesso della fiducia con cui mi abbandono al tuo amore.
Mi lascio avvolgere dalla tua carità, ricevo la tua misericordia e mi sento forte della mia debolezza“.
Poi, la dichiarazione d’amore più bella che ci sia: ““Gesù bello! Tu sei la mia forza e io ti amo!
“Ti amo, Signore, mia forza!”.
E oggi rinnovo in modo speciale le mie nozze con la Sposa, la mia Chiesa.
Ho ricevuto l’anello dal mio Vescovo, Franco Cacucci, un padre, un fratello per me. Ti ringrazio don Franco (e qui si è girato e i loro sguardi si sono abbracciati, ndr).
La consacrazione al ministero episcopale mi unisce a tutti i Vescovi qui presenti e non solo, che ringrazio per la loro vicinanza e per l’amicizia che condivido con molti.
Mi conforta la presenza tra noi di Sua Eminenza il Cardinale Salvatore De Giorni, che ringrazio. Egli rende ancora più visibile il legame di comunione tra il popolo cristiano e il Vescovo di Roma, Papa Francesco“.
I “grazie” non sono ancora finiti: “Il mio grazie particolare a don Nunzio Galantino, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana e a don Gastone Simoni, Vescovo emerito di Prato, ai Vescovi consacranti, per avermi sostenuto manifestandomi grande paternità spirituale.
La mia gratitudine in questo momento è rivolta anche a tre Vescovi che sono in cielo e che hanno aiutato la mia crescita, Mons. Aurelio Marena, Padre Mariano Magrassi e Mons. Luciano Bux“.
Lo stupore della Fede che palpita nelle parole: “Che profumo dal sacro Crisma che mi è stato versato sul capo!
Mi ha richiamato l’unzione del Battesimo, della Confermazione e quella della Consacrazione presbiterale. Ora dalla testa ai piedi il profumo di Cristo è sceso su di me e mi accompagnerà.
Guai a me se lascerò che venga contaminato, se non lo custodirò custodendo la Chiesa, mia Sposa. Gli abiti che indosso oggi non siano mai paludamenti che impediscono di riconoscere in me il volto di Cristo servo“.
La promessa fatta al suo popolo, vecchio e nuovo: “Ho cercato di essere servo fedele nei ministeri che ho svolto finora. Ora il servizio si fa più ampio, diverso, ma sempre servizio, servizio alla Diocesi di Cassano all’Jonio“.
La similitudine, emozionante e vera: “La Chiesa, mia Sposa, ha tante rughe, tante ferite, ma è bella. È com’era mia madre: stanca nelle membra ma brillante d’amore! Grazie, mamma! Grazie, madre Chiesa! Grazie a chi ti rappresenta, il Santo Padre Francesco. È lui che mi ha voluto Vescovo! Grazie, Papa Francesco! Grazie, madre Chiesa per la fedeltà al tuo fondatore, a Gesù Cristo, il Risorto, e per la tenerezza che hai saputo esprimere per gli uomini e le donne che gemono, come la creazione, in attesa del ritorno di nostro Signore“.
La sintesi più efficace della sua missione: “C’è un’umanità i cui gemiti sono più forti. In questi nostri giorni si fanno sentire più urgenti, anche qui in Italia, anche qui a Bitonto e provincia. Tanti sono poveri, da sempre, o di recente impoveriti e ci interpellano, ci richiamano a scelte più coraggiose di decentramento da noi stessi e dalle nostre comodità. Ci invitano, ci costringono ad una revisione sulla distribuzione delle risorse, su un nuovo modo di intendere il rapporto con la terra e i suoi frutti, sulle conseguenze disastrose di una globalizzazione finanziaria che ha globalizzato il male dell’indifferenza e dell’egoismo. Con i poveri, non per loro, ma con loro, possiamo disegnare orizzonti di cambiamento“.
I volti di chi in modo scavante ha amato, venendo riamato, sono qui, più presenti dei presenti: “I poveri mi hanno evangelizzato ed io li ringrazio. Dico il mio grazie a Ciro, malato di AIDS: mi ha regalato un’amicizia particolare, ricca di frammenti di speranza, anche se sentiva imminente la fine della sua esistenza. A Francesco che, emerso dalla torbida periferia della capitale, ritornò a Bitonto per disintossicarsi e per regalare a me e alla Comunità quanto aveva scoperto in sé come ricchezza da condividere in solidarietà. Grazie a te, Francesca, che negli ultimi respiri, che ti ha consentito la malattia inesorabile, mi hai affidato la piccola Ruth che avevi adottato con il tuo sposo Michele. La bambina è cresciuta inchiodandomi con le sue domande sul perché del dolore, lei che aveva appena trovato una mamma per vederla andare via divorata dal male. Le sue calde lacrime asciugate dalle mani del papà e da quelle amiche di parenti che l’aiutano a crescere, mi hanno insegnato che la vita è rigenerata dall’amore e che tutte le lacrime innocenti sono il sangue versato di Cristo che ci salva dai nostri orrori“.
L’attualità non può sfuggire a chi ha accettato le sfide della Storia: “Mentre custodisco alcune delle tante persone fragili che ho incontrato, il mio cuore triste e preoccupato va alle vittime del terremoto in Nepal, ai tanti cristiani perseguitati nel mondo, al Mediterraneo nelle cui acque sarà difficile bagnarsi perché ormai diventato un cimitero liquido di uomini e di donne che fuggono per la fame e la guerra“.
I fragili, gli ultimi, i vulnerabili e i vulnerati lo accompagneranno sempre: “Grazie, grazie, grazie ai tanti, tantissimi devoti dei Santi Medici di Bitonto. Ne ho conosciuti veramente migliaia e migliaia in questa piazza e nel Santuario, nelle città vicine e oltre oceano. Da tutti ho compreso che le forme semplici di religiosità sono autentiche ed esprimono il rapporto con il sacro e il senso dell’assoluto che ho imparato a riconoscere e a rispettare.
Grazie a tutti gli emarginati, gli esclusi che ho incontrato perché mi radicano nella convinzione che la stella polare è soltanto Gesù.
Le sue ferite, tutte le ferite dell’umanità diventano “feritoie” luminose attraverso le quali si fa strada il Regno di Dio“.
E gli amici che sono stati guide: “Conservo la memoria grata di tanti testimoni della Carità che mi hanno educato: don Vito Diana e don Cosimo Stellacci della nostra Diocesi; il vescovo don Tonino Bello, con il suo “pati humana et pati divina”, don Pino Puglisi e don Peppino Diana vittime delle mafie; con don Luigi Ciotti, qui presente, ed Ernesto Olivero e don Virginio Colmegna condivido percorsi di solidarietà e di giustizia. Ora lasciate che esprima la mia gratitudine per la partecipazione così numerosa delle tante autorità religiose, civili e militari qui presenti e di quanti mi hanno fatto giungere il loro pensiero“.
Non poteva mancare il clero, pugliese e calabrese: “Ai Vescovi calabri dico grazie per l’accoglienza mostratami e per la loro presenza. Alla Comunità di Cassano all’Jonio, all’Amministratore diocesano Mons. Francesco Di Chiara, ai sacerdoti, ai tanti laici intervenuti, il mio grazie di cuore con l’invito a pazientare ancora qualche settimana per il mio ingresso in Diocesi. Un abbraccio cordiale a tutta la Comunità del Seminario Regionale di Molfetta: al rettore, l’amico Mons. Luigi Renna, agli educatori, ai docenti e ai seminaristi. Saluto e ringrazio anche Padre Franco Beneduce, Rettore del Pontificio Seminario Campano Interregionale. Saluto e ringrazio tutti i sacerdoti presenti; un abbraccio speciale all’amico Vicario generale della nostra Diocesi don Mimì Ciavarella e ai sacerdoti della Diocesi, a tutti i consacrati, i diaconi, i religiosi e le religiose per la vicinanza e la presenza“.
Un “grazie” pure alla stampa, che non fa mai male: “Un saluto particolare voglio farlo giungere ai malati, agli amici e tutti coloro che ci seguono attraverso la diretta Tv e la diretta streaming e per questo ringrazio gli addetti alla stampa e alla comunicazione. Il mio grazie dovuto a tutti i collaboratori che in vario modo hanno organizzato e allestito questa piazza“.
Il focolare, quello che non si spegne mai, nonostante tutto: “Ai miei familiari la mia gratitudine carica di tanti ricordi e della tanta tenerezza discreta con cui mi sono stati accanto.
Mi allontanerò da Carmela, Tina e Dora, le mie sorelle che mi ricordano la mia casa e i nostri cari, mamma Rosa e papà Pasquale. Ai cognati, ai nipoti e pronipoti ripeterò sempre il mio grazie: devo anche a loro quello che sono, perché hanno condiviso la mia scelta di anteporre a tutti gli affetti il mio Gesù e i fratelli più poveri“.
Dulcis in fundo, il mondo della Basilica, il suo mondo: “Mi sento grato a Bitonto, la città in cui sono nato e ho sempre vissuto. Custodirò il ricordo! Grazie, grazie, grazie a Dio che mi ha fatto vivere la responsabilità di parroco in questa Comunità del Santuario dei Santi Medici. È stata una bella avventura: l’avventura dello Spirito che costituisce la mia identità di uomo e di credente. Questa comunità è la mia vita, la mia storia! A lei il mio canto d’amore! Quanti volti rivolti! Quante esistenze condivise! Quanti sacerdoti hanno collaborato e collaborano ancora nel nostro Santuario“.
Infine, l’afflato che ha unito una piazza gremita di fedeli, commossi e composti: “Chiedo ora a tutti di pregare per me e con me, con le parole di Charles De Foucauld, che mi accompagnano da moltissimi anni e che mi rafforzano nei momenti di svolta:
Padre mio, io mi abbandono a Te,
fa’ di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me,
ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purché la tua volontà
si compia in me
e in tutte le tue creature.
Non desidero niente altro, Dio mio;
rimetto l’anima mia nelle tue mani,
te la dono, Dio mio,
con tutto l’amore del mio cuore,
perché ti amo.
Ed è per me un’esigenza d’amore
il donarmi,
il rimettermi nelle tue mani,
senza misura,
con una fiducia infinita,
poiché Tu sei il Padre mio.
Amen”