Roma, un mattino di chissà quanti anni fa. Sede dell’Ordine dei giornalisti, esame d’ammissione alla Scuola superiore. All’improvviso, fra i candidati, serpeggia il panico. Pare che l’illustre presidente di commissione abbia avuto l’ardire di chiedere ad un esaminando: “Cos’è una intervista e come la si conduce?”. L’aspirante studente balbetta incauto qualcosa di simile: una sequela di domande e relative risposte, logicamente concatenate. La commissione rimane perplessa e il destino di quel ragazzo irrimediabilmente segnato. È subito un furioso e preoccupato compulsare testi sacri della materia da parte di chi lo dovrà seguire. Grato ai miei docenti di liceo, pesco nei miei ricordi scolastici la soluzione spiazzante. “L’intervista è semplicemente un atto irripetibile di socratica “maieutica”, in pochi minuti il cronista ha il dovere di far emergere il “daimon” di chi ha di fronte su un dato argomento. E il provvidenziale forcipe non può che essere il “logos”: il dire che si fa pensiero e viceversa”. A distanza di decenni, la mia convinzione resta la medesima: portare alla luce l’anima dell’interlocutore nello spazio di pochi, irripetibili istanti. Accompagnare, con paziente amorevolezza o acuta curiosità, l’anima dell’intervistato “sotto i riflettori della parola”: questo è il segreto che fa di un dialogo – quando alto e alato – una pagina di giornalismo e di letteratura. Ed è proprio l’alchimia segreta e suadente che crea uno scrittore dal cuore sensibile e la mano felice come Agostino Picicco in quest’opera. Dieci biografie invincibilmente legate dalla sorte sospirosa e bellissima d’una pedivella che mulina, sgrillettando ora allegra, ora malinconica. Ci si avvia in gruppo, ci si guarda negli occhi pure studiandosi, si macinano strade lastricate di polvere e ricordi, si prova uno scatto, si sente se la gamba c’è oppure no. Si schiva l’inganno del vento, alleato o nemico. Se, infine, il giorno è luminoso, si passa da soli sotto lo striscione del traguardo a braccia levate. Si torna la sera nel peloton, e attorno al desco ci si attarda a commentare le vicende del giorno. Con la lanterna della cultura, che impugna quasi con psicologica saldezza, dunque, Picicco lumeggia con delicatezza il destino di “concatenati” di dieci uomini, coraggiosi e stravaganti, pertinaci e romantici, eroici e straordinari. Nel libro che avete fra le mani, incontrerete fantastici campioni del mondo (Ballan, Bettini, Bugno, Cipollini, Fondriest e Moser, in rigoroso ordine alfabetico, non d’anagrafe né di talento: ognuno scelga secondo simpatia e predilezione), grintosi grimpeur (il “diablo” Chiappucci e il “trullo volante” Piepoli) e un mitico gladiatore (Tafi, irriducibile). Tutti cantano all’unisono il loro sincero amore per la nostra terra e per la fascinosa Giovinazzo.
La seconda sezione di questo testo, unico nel suo genere, è una polifonica dichiarazione d’amore alla bicicletta. Il rapporto speciale che ebbe con questo mezzo alato il “patito” vescovo don Tonino Bello; il dialogo infinito e suggestivo con essa dell’arcivescovo di Milano, Monsignor Mario Delpini, che vive la metropoli sui pedali; la confessione toccante del sindaco-ciclista Tommaso Depalma; la favola d’aver avuto in sorte il nome dell’Arcangelo delle vette, Gino, secondo l’autrice e insegnante Raffaella Leone; i modelli di due ruote che hanno segnato le diverse età della vita del manager Aldo Patruno; la tenerezza di sentimenti e memorie del medico e divulgatore Nicola Simonetti; il personalissimo e straordinario Giro d’Italia da Milano a Milazzo dello scienziato Massimo Temporelli; la folle divagazione sul tema di Raffaello Tullo, leader della irresistibile Rimbamband, e la poetica riflessione dello scrittore Valentino Losito. Orsù, dunque, cari lettori, tutti in sella, si parte per il viaggio più meraviglioso che ci sia: il volo emozionante di grandi artisti della vita “concatenati” da un sogno su due ruote.