C’erano
una volta le foto in bianco e nero.
Non
avevano i colori, ma solo la luce e il buio.
Il
giorno e la notte.
Il
tutto e il nulla.
Esattamente
quello che fa la vita dei ricordi. Nonostante il tempo provi ad ingiallirle ed
accartocciarle come le foglie, non c’è niente da fare, perché eterna è la
memoria del cuore.
Dunque.
In principio, il calcio a Bitonto fu Michele
D’Acciò, detto “U Taur”, come i giocolieri brasileiri, anche i
nostri avevano sempre un nomignolo figlio di battesimo popolare.
Quella
montagna d’uno mi raccontò la sua avventurosa esistenza in una sera di piovosa
nostalgia.
Il cappellino con la visiera all’indietro, un volto largo e franco, parlava e
piangeva…
La
sfida tra Polacchi e Inglesi arbitrata con fischio equanime che gli lucrò un
pallone di cuoio – eh sì, la sfera era cucita, allora, con una spessa stringa
che teneva coesa la bitorzoluta rotondità.
I primi scarpini carezzati e comprati da quel commerciante, che, nella bottega
di via Mercanti, millantava d’essere il nipote nientepopodimeno che di Raimundo “Mumo” Orsi, oriundo
fuoriclasse della Juventus pluriscudettata e della Nazionale mondiale.
E poi le partite alla “Guglie” (l’obelisco che campeggia dinanzi alla
Basilica dei santi medici, che allora non esisteva), primo spiazzo sterrato che
presto si trasformò in rettangolo di gioco.
Al
bordo del campo di battaglia, si assiepavano curiosi e appassionati, divorati
da quel desiderio invincibile di pace che nasceva nelle anime straziate dalla
seconda guerra mondiale.
Mano
nella mano del papà, tra quella gente assetata di pace, un bimbo dallo sguardo
purissimo scrutava quel colosso invalicabile per carpirne i segreti.
E
sognava di diventare pure lui un fiero calciatore neroverde.
Già,
quei colori che forse venivano dalla serenissima Venezia e ti entrano nel
sangue: il nero della notte più misteriosa e il verde delle foglie dei dolenti
ulivi.
La loro storia, avrete capito, cari lettori, è un gomitolo fascinoso di
destini.
Quel
bambino era Michele Chiddo per tutti
Lillino.
A differenza del leonino sportsmanD’Acciò, egli sarà pedatore stiloso e liliale.
Credo
che, galantuomo com’era, non avrà mai fatto un fallo in vita sua. Guardate
l’istantanea che ce lo ridona elegante, in posa accanto ad un palo squadrato e
davvero ligneo, sopra un deserto pietroso e muri scalcinati di case in
lontananza. Il cielo doveva essere azzurro e bellissimo come la sua giovane
anima. Dissolvenze del calcio dei pionieri.
Giocò
con Michele Pierro soprannominato
“U Sguizz”, perché non lo afferrava nessuno lungo la corsia
prediletta, si favoleggiava che certe domeniche giocasse a piedi nudi, perché
aveva le ali.
Ebbe
allenatore Francesco Capocasale, che
era stato letteralmente il primo numero dieci della Vecchia Signora, perché,
giunto lui a Torino, la
Federazione impose il contrassegno aritmetico di tra le
scapole – che si stupiva nel vedere i nerboruti calciatori bitontini sfidarsi a
sparar campanili infiniti nell’azzurro del meriggio meno pallido e assorto
possibile.
Ma
ecco ancora l’intreccio malioso di fati, che nessuno mai potrà districare.
Crebbe
nel mito di Chiddo un altro asso del cuoio, che per giovanile errore non
sfondò: Tonino Sblendorio. Baffo
arguto ed occhi che ti squadrano, rimembra ancora: “Lillino era un grande davvero. Tecnica, velocità e signorilità erano le
sue caratteristiche peculiari. Eppoi era un uomo di sport a tutto tondo, visto
che a cavaliere fra gli anni Settanta e Ottanta è stato pure il numero uno del
tennis bitontino. A proposito, mi è dispiaciuto non vedere manco un manifesto
del Circolo il giorno della sua morte“. Ed il rammarico del prof è il
nostro.
Ora,
ne siamo certi, D’Acciò, Pierro e Chiddo saranno lassù con gli amici dell’età
più bella a dribblare le nuvole.
In fondo, si
chiamavano tutti e tre Michele. Come gli angeli. Rigorosamente in casacca
neroverde…