Secondo autorevoli studi, ogni abitante del pianeta consuma 30 kg di plastica all’anno. Se moltiplichiamo questa quantità per la popolazione mondiale, si capisce bene come la plastica prodotta e immessa nell’ambiente è un problema destinato ad ingigantirsi.
Qualcuno, però, avrebbe trovato una soluzione che fa rima con plastica infinitamente riciclabile. Altrimenti detto: plastiche capaci di essere riciclate in qualsiasi altro tipo di oggetto.
Il condizionale è d’obbligo per una serie di ragioni: la prima è perché si tratta di una visione a lungo termine (e non serve tanto per capire il motivo) e la seconda è l’assenza di capacità tecnologiche per trasformarla in realtà.
L’idea, comunque, c’è ed è stata partorita da un bitontino.
Un orgoglio bitontino.
Una mente brillante nostrana.
Francesco Stellacci, direttore del Laboratorio di nanomateriali supramolecolari al Politecnico di Losanna, con un passato prestigioso al Massachusetts Institute of Technology (Mit) e che da qualche mese, tra l’altro, fa parte di un team di esperti che si occupa dello sviluppo di progetti volti a favorire la ricerca di risposte a problemi quali la ricerca di fonti energetiche pulite e sostenibili, il riscaldamento globale, l’efficientamento energetico (leggi qui per articolo https://bit.ly/3xmCfaz).
“Tutto nasce da una constatazione – ragiona lo scienziato -. Sulla Terra siamo oggi oltre sette miliardi di persone. Si stima che entro il 2050 saremo dieci miliardi. La produzione di rifiuti plastici pro capite è alta: ad esempio in Italia ne produciamo 56 kg. mentre negli Stati Uniti d’America ben 105. Se stimiamo una vita media di 70 anni, significa che in tutto ogni italiano produce circa quattro tonnellate di plastica. Come possiamo rendere sostenibile questo modo di vivere? Ci si può ispirare alla natura. E in modo particolare dalle proteine: sono fatte da 20 aminoacidi, e le proprietà della proteina derivano dall’ordine in cui si susseguono questi aminoacidi. In un certo senso l’uso delle proteine è paragonabile a quello della plastica, nel senso che le produciamo e consumiamo rapidamente, proprio come la plastica. E nel mondo abbiamo molte più proteine che plastiche, eppure le proteine sono totalmente sostenibili, al contrario delle plastiche. Perché sono riciclate in un modo ideale.
Non vengono totalmente degradate: viene solo tagliata la catena degli aminoacidi. Nella cellula si crea una miscela di questi aminoacidi. A questo punto una macchina cellulare detta “ribosoma”, prendendo l’informazione dal nostro Dna, utilizza gli aminoacidi per creare le proteine che servono alle nostre cellule”.
Ed ecco, allora l’idea. E i primi esperimenti.
“Abbiamo cercato di riprodurre questo processo in laboratorio. Non con le plastiche, ma con le proteine. Abbiamo preso le proteine della seta e degli scarti di lavorazione del formaggio. Le abbiamo fatte “digerire” spezzettandole in amminoacidi e poi, grazie a un ribosoma sintetico, abbiamo ricomposto gli amminoacidi (cambiando il loro ordine nella sequenza) per creare un oggetto diverso: una proteina fluorescente, utile in ambito medico. Già oggi, con un procedimento simile, potremmo riciclare le proteine della lana in anticorpi monoclonali. Questa è veramente economia circolare: butto via la maglia di lana e ci creo gli anticorpi per curare il Covid”.
La prova, quindi, è stata fatta scomponendo e riassemblando delle proteine, ovvero dei polimeri naturali. Quanto ci vorrà per fare qualcosa di simile con dei polimeri plastici?
“Magari anche un secolo – è la risposta netta di Stellacci -. Perché dovremo cambiare tutte le plastiche imparando dalla natura a produrle in modo che siano “a sequenza definita”, ovvero in modo che le diverse proprietà dei diversi tipi di plastica derivino dall’uso di un numero finito di molecole che sono distribuite in diverso ordine”.