L’incontro con Juan Martin Guevara è stata anche l’occasione di parlare dell’oggi, ad oltre mezzo secolo di distanza dalla scomparsa di suo fratello Ernesto e della necessità di lottare, «perché non si può vivere in questo mondo così come è ora, come dimostrano le tante tensioni presenti nel mondo, dall’Afghanistan allo Yemen, senza dimenticare quelle che abbiamo visto a Parigi. Questo sistema non riesce a far sì che noi che lo viviamo non riusciamo ad essere soddisfatti di esserci».
Per Guevara serve, per arrivare ad un cambiamento positivo serve un’unione dei popoli, ma non un’unione come quella europea, che «risolve solo i problemi della Germania e non, ad esempio, della Grecia».
«È necessario raggiungere una stabilità e un equilibrio che il mondo, così come è ora non raggiungerà, come pensava anche il Che, che parlava soprattutto ai giovani, che hanno nelle loro mani la capacità di cambiare il mondo» continua, sottolineando anche come non è vero, come spesso si dice, che la tecnologia contribuisca a superare squilibri e contraddizioni: «È solo un modo per giustificare lo status quo. Non è vero. L’unica cosa che fa la tecnologia è modificare le condizioni dell’accumulazione del potere, negli stessi luoghi dove è sempre stata. Modifica il modo di comunicare, che avviene oggi tramite social network e non più faccia a faccia. Non modifica altro, non modifica la contraddizione principale, che è data dalle diseguaglianze, dall’accumulazione dei poteri e delle ricchezze sempre più ai piani alti e sempre meni a quelli bassi».
«Non modifica, cioè, il problema del capitalismo, che ha bisogno di consumatori. Le grandi aziende tecnologiche hanno bisogno di gente che abbia denaro per consumare, per acquistare prodotti. Se le persone non hanno denaro, non può esserci commercio e, se non c’è commercio, perchè ogni volta la ricchezza si accumula sempre più ai piani alti e meno a quelli bassi, è la fine» spiega, riportando, come esempio, la crisi dell’Argentina, «dove i consumi in Argentina sono scesi ad un livello incredibile in un paese con 44 milioni di abitanti dove si produceva per 400. Senza dubbio il consumo è diminuito e la povertà è aumentata. Sono diminuite le pensioni di chi ha lavorato. Evidentemente sono crisi interne al sistema capitalista che non si risolveranno».
Nella sua lunga analisi Guevara parla anche degli Stati Uniti, della presidenza Trump e delle sfide che oggi vedono la superpotenza impegnata: «Gli Usa sono sulla difensiva di fronte a Europa Russia e Cina. Ma sono sull’offensiva nel continente americano. Offensiva dal punto di vista economico, commerciale, militare».
In questo contesto, Trump, a suo dire, sarebbe il più tipico presidente nordamericano che si sarebbe potuto avere. Bianco, del Midwest, visionario: «Questi sono gli Stati Uniti veri, non la Clinton. Gli mancano solo cappello e stivali ed è un cowboy. Un cowboy visionario e urbano che sa fare affari. Non è certo pazzo, non è uno a cui sono fuggiti i neuroni. Si sta muovendo nel sentiero indicato dalle forze economiche, dalle industrie della Silicon Valley, dalle industrie belliche. Lui segue quella strada. L’Argentina ha il litio, il gas, il Venezuela il petrolio, come anche in Messico che è il paese che gli Usa hanno sempre avuto accanto, a cui, storicamente, hanno anche rubato chilometri. In ogni paese ha una politica che nasconde, sotto il controllo del narcotraffico o altri pretesti, volontà di dominio. Attraverso la lotta al narcotraffico, riesce ad entrare nei vari paesi e ad avere l’accesso ai beni naturali di cui gli Usa hanno bisogno. Uno degli aspetti più importanti della politica di Trump nell’America Latina è il dominio su tutti gli eserciti. Solo gli eserciti di tre paesi non rispondono agli Usa: Venezuela, Nicaragua e Cuba, che perciò sono nemici. Come avanza su Cuba? Con 125 voli su Cuba. Migliaia e migliaia viaggiano ogni giorno da Usa a Cuba, specialmente i cubani americani, i discendenti dei cubani che andarono via dall’isola, che tornano a vivere a Cuba e a fare affari. Un flusso di milioni e milioni di dollari che Trump non interromperà. Fa un po’ di dichiarazioni, ma nulla di più. È un lavoro di penetrazione commerciale, politica, ideologica, e finanziaria. Gli Usa, negli ultimi dieci anni, sono stati i maggiori fornitori di riso a Cuba. Il riso è la principale fonte di cibo per i cubani. E gli Stati Uniti non si ponevano certo il problema di vendere tonnellate di riso a Cuba. Non potevano perdere l’occasione. Gli Usa hanno un obiettivo su Cuba, che non è l’invasione, ma il contenimento all’interno della propria sfera economica e commerciale».
«Sono pessimista a breve termine e ottimista a lungo termine. Senza unità non c’è soluzione – aggiunge – Senza organizzazione non c’è soluzione. Senza lotta non c’è possibilità di risolvere problemi. Non ci sono esempi nella storia del mondo, in cui il potere non si prenda con la lotta, con la coscienza. Serve unità, unità di strategie, di obiettivi. E servono organizzazione, decisione, valori, coerenza. Questo è il pensiero più importante che ha lasciato il Che con la sua lotta. Ed è anche la mia idea. Non credo che, dato che ho 75 anni, vedrò il cambiamento, che probabilmente avverrà quando non ci sarò più».
Juan Martin Guevara conclude la sua lunga intervista accennando alla fondazione che, attualmente, è impegnato a realizzare, raccogliendo tutto il materiale possibile su suo fratello, con l’obiettivo di raccontare il vero Che, di raccontare «tutto quello che c’è di vero, in mezzo a tante menzogne e deformazioni» e di umanizzare il personaggio, come spiega anche nel libro, sottolineando che “è essenziale comprendere che Ernesto, all’inizio, era un ragazzo normale. Dopo è diventato una persona eccezionale che altri possono e devono imitare. I grandi uomini sono rari, ma esistono».
E, in questo progetto, rientra anche il libro scritto due anni fa, che gli ha permesso di viaggiare per il mondo e ascoltare le varie narrazioni date, nei vari paesi, del fratello: «Il libro mi è servito come strumento per poter parlare con la gente, nei diversi posti, di Ernesto, del suo pensiero. Ma non solo. Anche per discutere di cosa succede e cosa succederà. L’obiettivo è arrivare alla gente».