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Processo Pandora 1/L’affiliazione nei clan dalla “picciotteria” fino a diventare “principino”

I santi e la "spartenza" delle sigarette. Non solo folklore: "Io per avere la picciotteria avevo fatto già sparato: oggi entrano in camorra e non sono educati, si sono persi i valori"

Lucia Maggio by Lucia Maggio
19 Luglio 2018
in Cronaca
Processo Pandora 1/L’affiliazione nei clan dalla “picciotteria” fino a diventare “principino”
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Nel poema “Le opere e i giorni“, Esiodo illustra il mito di Pandora narrando di questa creatura mortale, creata da Efesto per ordine di Zeus, che riceve un vaso proprio dal padre degli dei. Il quale le intima di non aprirlo mai perché, altrimenti, avrebbe liberato tra gli uomini tutti i mali in esso racchiusi. Il 18 giugno scorso, con la maxi operazione denominata, appunto, “Pandora”. i Carabinieri del Ros hanno arrestato 104 persone – vertici ed articolazioni dei clan baresi “Mercante – Diomede” e “Capriati” – e hanno svelato attraverso prove, testimoni di giustizia, intercettazioni e indagini durate anni, ciò che si nasconde dietro questi gruppi criminali.

Violenza, minacce, intimidazioni, atteggiamenti omertosi, cui costringono anche la gente comune, sono i loro punti di “forza”. Nei gruppi criminali consolidati, come il loro, si cresce per gradi, con valutazioni “meritocratiche” acquisite e concretizzate da condotte messe in atto nell’interesse della compagine associativa. In sostanza: non basta far parte di un’associazione mafiosa, un atteggiamento psicologico di adesione, occorre l’acquisizione di un ruolo materiale interno finalizzato al conseguimento degli scopi del sodalizio.

È Raffaele Caputo che nel 2010 spiega i vari gradi nella scala gerarchica camorristica: «Dall’inizio si ha la “picciotteria”, si dà la prima, la 2’, poi la fa 3’, fa 4’, la 5’, la 6’, la 6’ ed un quartino e due e tre, poi la 7’, la 7’ ed un quartino, fino alla 9’. Al 9 grado – aggiunge – ogni capo comanda i suoi ragazzi, quelli che stanno sotto di lui, e l’affiliazione ha la funzione di aggregazione e difesa per fare numero e diventare sempre di più». Pietro Losurdo sostiene che «dopo il “6 grado”, “tre quartini”, vi è la dote chiamata “la metà”, caratterizzata da un segno di riconoscimento al centro della spalla; a seguire vi è l’8 grado detto “corona”, caratterizzato da una specie di “medaglione”, simbolo necessario per completare il proprio percorso camorristico e divenire “principino”».

Ma come avviene l’affiliazione? «La cerimonia iniziale è importante e poi quello incomincia a fare la messa… dice: “con il permesso del mio capo, mi sono messo stamattina a formare la società (…) loro la formano con catene e coltelli e con parole di omertà”. E quello dice: “lo formano (…)”. Quello dice: “il locale è battezzato, siete conformi?” vuol dire “essere sì, siamo conformi, conformi e conformissimi… siamo tutti qua riuniti per battezzare “x” a nome di Tizio e Caio, il Padrino”».

È importante anche il ruolo dei santi: «Il santo si brucia per cicatrizzare la ferita. Diciamo la cenere del santo viene usata anche per il movimento in 5’, soprattutto Padre Pio e la Madonna di Pompei». E non solo Carmelo Zappalà nel 2013 ha spiegato che «si incrocia la mano, si fa il saluto e si dà il bacetto e poi si dà la spartenza: 3 sigarette Marlboro. Tre sigarette a testa a chi stava dei clan, ma anche che dalla affiliazione discendono una serie di benefici: significa che io posso spacciare nel suo territorio e posso comprare la droga da lui e dai suoi affiliati».

Altra conseguenza è costituita dall’assoluta fedeltà ai valori associativi, che esclude l’esistenza stessa di uno ius poenitendi: «No, – spiegano i collaboratori – non puoi mai interrompere l’appartenenza al clan, perché quando uno fa parte del clan o sta in carcere o sta fuori, deve sempre dar modo di appartenere al clan. Cioè, deve sempre far vedere un suo ruolo che faccia capire al padrino che lui faccia parte del gruppo, anche quando fai un rito». La favela (la preghiera) parla chiaro quando dice: “Con un piede nella fossa o l’altro alla galera”.

I collaboratori sostengono che tali procedure non rappresentano solo folklore, ma sottendono a precisi contenuti, sebbene si stia assistendo – si legge nelle carte dell’ordinanza – “ad un uso via via meno canonico”. «Oggi si sono perse queste cose – commenta un propalante -. Io per avere la picciotteria da Parisi, avevo fatto già sangue, avevo già sparato: invece oggi entrano già in camorra (…) non sono educati a quello che oggi si indossa, si sono persi i valori».

L’affiliazione rappresenta uno snodo importante nell’affermazione sul territorio di un clan camorristico, perché dalla stessa discende una serie di vantaggi per gli affiliati, primo tra tutti quello di mutua solidarietà e difesa. Domenico Decaro riferisce a Giuliano Firsari: «La forza del boss (del malandrino) sono le persone che tiene attorno, che lo affiancano. Tu puoi essere ciò che sei: se la malavita o le persone vengono a sapere che tu sei rimasto da solo, tu diventi uno zì, no non servi più neanche a mangiarti, perchè solo non servi più».

L’affiliazione assume un valore decisivo anche in carcere, nella sua suddivisione, “ove vengono ristretti in settori ad appannaggio esclusivo dei sodali appartenenti allo stesso gruppo”.

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