Il racconto cominciato ieri, che ha visto un susseguirsi di eventi (da settembre a dicembre) atti ad affermare il predominio di un gruppo criminale sull’altro, raggiunge l’apice con l’uccisione dell’innocente ed incolpevole Anna Rosa Tarantino lo scorso 30 dicembre 2017 in via delle Marteri.
La sparatoria in cui la povera 84enne perde la vita è l’ultimo atto di una serie di intimidazioni cominciate già alle prime luci dell’alba.
Alle 6.30 i primi 4 colpi d’arma da fuoco in vico Storto Giovanni Barone (3 su un portone e uno sulla grondaia), una delle piazze di spaccio dei Cipriano, da parte proprio di Cosimo Liso. Il ragazzo spara e poi scappa sui tetti per raggiungere i suoi sodali, legati al gruppo “Conte”.
Dalle 6.50 alle 7.20 circa alcuni uomini a volto coperto si vendicano dell’azione di Liso: vanno verso la sua abitazione e non trovandolo gli devastano il portone d’ingresso.
Alle 8.15 un commando composto da quattro persone dei “Cipriano” (Rocco Mena, Benito Ruggiero, Francesco Colasuonno e un’altra persona non ancora identificata), con tre armi diverse (una 9×19, 9×21 e una 40S&W) a bordo di due scooter SH300 di colore scuro raggiunge via Pertini, dove vengono esplosi ben 31 colpi d’arma da fuoco all’indirizzo del civico 105. Qui viene ucciso anche Rocky, il cane vedetta della zona.
Alle 8.26 in via Le Martiri avveniva una violenta sparatoria caratterizzata da 17 colpi d’arma da fuoco sparati da due armi differenti: 10 colpi da una 9×21, gli altri 7 da un’altra arma. Qui Giuseppe Casadibari verrà colpito da un solo colpo alla spalla destra che gli provocherà un trauma toracico con versamento pleurico e l’incolpevole Anna Rosa Tarantino troverà la morte colpita da due proiettili vaganti. Casadibari verrà soccorso da Damiano Leone (arrestato il 6 gennaio 2018) e Benni Ruggiero, condotto al Punto di Primo Intervento di Bitonto e successivamente al Policlinico di Bari dove, pochi giorni dopo, verrà operato. Da qui in poi diventerà collaboratore di giustizia e, per questo, condotto in programma protezione.
Dopo qualche minuto dal fatto (in realtà dalle 7.29, poi alle 8.29 e alle 8.32) si fanno numerose le segnalazioni al 112 con le quali i cittadini comunicavano sparatorie nel centro storico di Bitonto: “una signora, una passante, sta giù, sembra che sia morta”. La signora, la passante, l’innocente Anna Rosa, fu condotta da via Le Martiri, dove una passante provò a rianimarla, fino a Porta Robustina dove arrivò il 118. Di lì a poco trovò la morte.
“Hai capito chi è?”, dice in un secondo momento un congiunto a Cosimo Liso. “La vecchia che quando mi vedeva diceva attento a quello” […] “La fortuna è che è vecchia … ancora si poteva trovare uno di noi. Tanto che ho visto il manifesto, sono andato vicino, l’ho baciato. Quella quando mi vedeva, salutava sempre”.
Cosa era successo? Liso, come abbiamo ripercorso, uscito di casa e dato il suo “avviso” agli ex-compagni corre sui tetti proprio da Michele Sabba, Rocco Papaleo e un altro soggetto. Il giovane sodale resta sui tetti con Liso – che risultava sicuramente il più esposto – e in strada scendono proprio Sabba e Papaleo che, armati, cercano di colpire al di là dell’arco di via Le Martiri, stando ben accorti a non oltrepassare la strada di via Porta Robustina per via delle telecamere comunali.
Su quella strada era parcheggiata un’auto – una Hunday nera, risultata poi di proprietà di uno dei parenti di Liso – e poco più avanti c’era proprio tutto il gruppetto dei “Cipriano”. L’essenziale era colpirli. Di lì in quel momento passa per caso proprio il 20enne Casadibari, che si ritrova sulla traiettoria della pioggia di proiettili mentre stava andando a rifornirsi nella piazza di spaccio dei “Cipriano” e, quindi, corre dai suoi sodali che poi lo accompagneranno in ospedale. “La vecchierella non la vedono proprio”, dice Tarullo che apprende le informazioni da Sabba, in carcere dal 12 al 16 gennaio.
Da qui in poi cominciano i momenti di panico e di “pulizia”. Papaleo conduce Sabba in un fondo di campagna per bruciare gli abiti e sbarazzarsi delle armi con un cannello ossiacetilenico. Papaleo si mostra persino reticente a bruciare gli abiti perché “il giubbotto l’aveva comprato qualche giorno prima e l’aveva pagato 400 euro”.
Le indagini. Da qui la lunga attività di indagine della Polizia di Stato e dei Carabinieri – con la sinergia di ben quattro uffici – consente, attraverso microfoni ambientali, intercettazioni telefoniche e interrogatori serrati, di arrivare a chiudere il cerchio sui presunti colpevoli dell’agguato.
Gli investigatori hanno riscontrato una omertà diffusa, atti intimidatori successivi tra i vari componenti dei gruppi criminali, atteggiamenti tipici delle organizzazioni di stampo mafioso.
I criminali locali sono animati da atteggiamenti impavidi, spregiudicati: quando si invadono gli spazi o si viene meno alle affiliazioni alla base del codice mafioso si viene a creare una rottura degli equilibri che si manifesta con sparatorie, auto mandate in fiamme, senza tener assolutamente conto dell’ambiente circostante o della gente che passeggia, magari semplicemente per fare ritorno a casa.
Le collaborazioni. Sono state fondamentali nelle attività degli inquirenti le collaborazioni di Casadibari – le cui rivelazioni spesso non sono state confermate anche per la giovane età e l’estraneità ai fatti “dei grandi” da parte del 20enne vicino ai “Cipriano” – e di Vito Tarullo che, ormai 34enne e da tempo esponente di spicco del gruppo criminale “Conte”, ha deciso di cambiare completamente vita. Le informazioni di quest’ultimo si sono dimostrate sempre riscontrabili con i fatti, genuine e attendibili.
Ai propalanti si sono aggiunti anche privati cittadini che, a conoscenza di altri dettagli, hanno dato il loro contributo alle Forze dell’Ordine con la ferma volontà di “rompere il velo dell’omertà”.