DI FRANCESCO RUTIGLIANO
L’emergenza sanitaria da COVID-19 ha reso l’anno scolastico 2019-2020 davvero singolare, in quanto il mondo scolastico si è dovuto confrontare con l’attuazione di una diversa modalità di insegnamento che è stata quella della Didattica a Distanza (DaD), ossia l’unica strada per dare continuità alle attività formative e scolastiche. Orbene, oggi, sebbene gli organi politici continuano a dire che in caso di ulteriore peggioramento non ci sarà un nuovo lockdown e quindi non ci sarà una nuova chiusura delle scuole, lo stato di fatto dei contagi sembrerebbe non compatibile con la regolare continuazione delle attività scolastiche in presenza. In base ai dati emersi da un database ideato da un giovane ricercatore ed uno studente universitario, sono 223 le scuole chiuse e almeno 1.493 quelle in cui si è verificato almeno un caso di coronavirus dall’inizio di questo anno scolastico in Italia. Era assolutamente prevedibile che con l’apertura delle frontiere molti giovani sono andati in vacanza in quei Paesi europei che in quel momento non vivevano un momento facile del contagio. Il loro rientro non sempre è stato radiografato in quanto molti di loro erano asintomatici e, quindi, ritornando nelle proprie famiglie hanno contagiato i loro familiari. Difatti nel periodo agosto inizio settembre l’età media dei contagiati era scesa notevolmente. Questa situazione, in cui adesso sono tutti rientrati dalle vacanze, si è moltiplicata sino ad un peggioramento significativo sia dei contagi che dei ricoverati in terapia intensiva. Credo che qualche domanda su come sia stata gestita l’emergenza sanitaria è doveroso farla, anche se dall’altra parte in casi come questi bisogna riconoscere che ogni decisione intrapresa non sempre poteva e può essere quella risolutiva o quella giusta, in quanto il nemico è nuovo ed invisibile.
Questo ritorno di fiamma del COVID-19 ci sta facendo ritornare indietro di mesi, con il pericolo che si ritorni alla Didattica a Distanza totale. Non nascondiamo che nel periodo del lockdown è emerso il divario tecnologico e digitale in quanto la DaD richiedeva e richiede la disponibilità di device e connessioni efficaci, che non tutti avevano ed hanno. Tra l’altro i fondi assegnati alle scuole e i bonus alle famiglie per l’acquisto di attrezzature, strumenti informatici e accessori per l’accesso ai servizi didattici, non hanno evitato le disparità sociali e il divario di abilità tra studenti normo dotati e studenti diversamente abili. Pertanto, attraverso la DaD si è cercato di garantire il diritto allo studio. In ogni caso, anche se vi sono stati aspetti palesemente negativi vissuti per l’assenza di scuola in presenza, e quindi della mancanza di una relazione diretta di cura educativa, di contro, si è registrata una inevitabile ed improvvisa accelerata nell’utilizzo delle tecnologie digitali nella pratica della didattica. Ma questa accelerata non ha evitato di tracciare solchi di un divario di opportunità tra gli allievi, in cui si è evidenziato che le forme di insegnamento/apprendimento in remoto non sono garanzia di efficacia ed equità, ed è il caso di quelle esigenze specifiche di alunni con particolari bisogni educativi speciali che necessitano, rispetto ad altri, di una prossimità fisica e relazionale difficilmente sostituibile con le tecnologie. Ma ha anche interessato tutti quegli insegnanti che appartengono alla categoria di migranti digitali, e che hanno dovuto inesorabilmente realizzare una full immersion nel mondo digitale, al fine di realizzare al meglio l’esperienza della DaD.
Certamente, oggi, rispetto al periodo di lockdown, siamo più preparati per una eventuale DaD totale, anche perché con le nuove assunzioni vi è stata una boccata di ossigeno di giovani insegnanti, più social, più predisposti per la tecnologia.
Il governo, in considerazione dell’eccessivo aumento dei contagi, e prima che i focolai si moltiplichino, dovrebbe valutare la possibilità di attuare la Didattica a Distanza e non la Didattica a Distanza Integrata (complementare alla didattica in presenza) almeno per le scuole secondarie di secondo grado, lasciando in presenza le interrogazioni programmate. Ciò determinerebbe una attenuazione dei problemi dei trasporti e la mole dei contatti che si vengono a creare in tale contesto. Come del resto, sarebbe opportuno, rafforzare le nuove tecnologie per l’apprendimento da remoto. Anche perché, nella DaD lo strumento che si utilizza fa la differenza ed è in grado di rendere ogni volta diversa l’esperienza di insegnamento. Sul punto, Neil Selwyn (ricercatore internazionale nell’area dell’educazione digitale) in un saggio rapporto tra educazione e tecnologia, ha collegato le tecnologie educative con alcune tra le principali teorie dell’apprendimento: dal comportamento al cognitivismo, dal costruttivismo al costruzionismo, dalle teorie dell’apprendimento situato al connettivismo. A ciò si presume e si auspica che dovrebbe conseguire un approfondimento da parte dei docenti circa le modalità di funzionamento dei software e delle piattaforme educative, per comprendere quali siano i meccanismi di apprendimento che favoriscono e rendono possibili i principi enunciati, e quindi una padronanza nell’utilizzo delle tecnologie digitali.