DI MARIELLA DE SANTIS ROBBINS
E allora nel silenzio di questi giorni, nell’immobilità sale quel senso di paura che si è infilato da qualche parte già in placenta e sputa siero. E io sono stata titanica ho affrontato inferni e purgatori sostando in paradisi, impavida per tutti ma con quella codina sempre a muoversi nel profondo destra sinistra destra sinistra. Un rumore impercettibile, un fruscio ma nel silenzio di questi giorni si sente con chiarezza. E l’effetto marmotta invece di silenziarlo lo nutre, lo fa sentire sicuro di sé. Poi dico che il mio precetto è: quando non sai da dove iniziare ricomincia dal corpo. E allora meditazione, venti minuti di ginnastica al giorno e obbedirgli. Fare ciò che vuol fare lui. Spesso niente. Come quando sono uscita dal letto alle 15. Un giorno mi chiedo se sono depressa il giorno dopo sono come se fossi nata ieri. Guardo la tua urna. Mi dà stabilità ma tu mi manchi, ti voglio con me o qualcuno deve scrivermi nero su bianco che tu sei da qualche parte felicissimo e allora io smetterò di protestare. Qui non è più silenzioso di prima almeno così mi pare, dura solo più a lungo perché non vado in metro, ufficio, cene con amici. A noi due piaceva tanto stare in casa in silenzio, lanciandoci voce di tanto in tanto come due animaletti del bosco: Sweetiepie! Toad! E ci bastava, sicuri di esserci. Sure of ourseles. Ora se provo a chiamarti la mia voce si accartoccia su se stessa e diventa un rantolo. Scusami. Questo ritiro, questa clausura potrebbe piacermi. La mente dopo un poco comincia a funzionare diversamente i pensieri sono pluridirezionali, frecce partono in uno stesso istante e non se ne seguono le direzioni, poi all’improvviso una centra il bersaglio e arriva un pensiero che si aspettava da tempo. Le zone di ombra si diradano. Viene fuori quasi un candore, un affidarsi agli elementi di base. Per esempio, da un bel pezzo giravo intorno a certe pulsioni per me incomprensibili, come quella, per dire, che attirava un intellettuale come Pasolini, verso le persone semplici, elementari, senza troppe sovrastrutture mentali. Mi sono allora ricordata di alcuni sguardi che ho incontrato nei centri di accoglienza quella fiducia in me, in chi avevano intorno, quell’allegria superstite al deserto, alla traversata, la concretezza di essere vivi e di esserlo oggi. E in questi giorni ho capito: le persone così ci riconnettono con quella medesima parte di noi sepolta, incrostata dall’esperienza, dalla conoscenza. Ci fanno sentire l’eco di noi animaletti del bosco o fiere della giungla che aspiravamo a bere, mangiare, sentirci al sicuro e dentro qualcosa che fosse un branco, un prato, una caccia alla preda. Una parte che non sappiamo più usare perché abbiamo fatto un salto e siamo dall’altra parte del cratere. Possiamo solo guardare in basso e ricordare quel momento in cui eravamo natura e istinto sapendo che tornare indietro vorrebbe dire distruggerci, eliminarci perché non sapremmo più essere come prima. E ho quindi capito che l’effetto marmotta è solo uno sforzo della mente che all’improvviso è esautorata da anni di routine cognitiva, operativa. Deve abdicare a compiti eseguiti coattivamente anche se apparentemente per scelta. Riprogrammare la sequenza azioni bisogni volontà e ci vuole tempo. Il tempo della marmotta. Capita quindi che si guardi la pila di libri che anelavamo leggere senza averne mai tempo e non si accenda il fuoco della passione ma casomai si agiti solo la scintilla dispettosa del corteggiamento. Si fanno ipotesi su come torneremo ad essere dopo Covid 19. Cambieremo, torneremo uguali a prima? La mia idea è che cambierà l’economia e forse le forme della politica, il funzionamento delle istituzioni e per questo, non per altro, cambieremo anche noi. Sono qui, sola mentre fuori si muore, lotta, vive, sopravvive. Oggi ho letto che a Mumbay in uno slum di 2 km quadrati vivono in 1 milione, pare che l’epidemia li stia falcidiando. Li sento uno a uno. A volte quando mi abbracciavi dicevi: tutto il mondo vive in te senza sosta. Ora forse capisco quello che volevi dire. Dovevo davvero essere troppo. Ci sono cose belle nate da questo disastro: la sera faccio meditazione attraverso una piattaforma, in collegamento con 999 persone in tutto il mondo, ci vediamo, leggiamo i nomi e maestri che non avrei mai potuto incontrare sono lì, come stiliti ad offrirsi perché ci si offra. Oggi ho fatto la tinta in casa. È venuta un po’ scura ma a te piaceva così, mi pare. Il taglio avevo appena fatto in tempo a sistemarlo “un giorno prima”. È morta la mamma di Terry. Sono rimaste sole in casa per tre giorni e da sola l’ha accompagnata al cimitero nelle Marche. Me ne ha parlato irradiata da un senso di rito antico, recuperato nel dolore. Non ci resta molto altro che questo nei grandi dolori. Questa quarantena schiude porticine dai cardini arrugginiti, mi pare. Con gli amici del cineforum ci vediamo in Skype o Zoom ed è bello. Poi Luca manda spesso articoli o link molto interessanti. È un altro militante della vita, lui. Fa il suo e lo mette a disposizione. Poi c’è Raffale che con la sua eleganza picchietta alla porta del mio schermo. Brevi attenti messaggi come ha fatto per tutti questi 15 mesi. Quell’uomo è un cristallo di rocca usa con gli altri la delicatezza che desidera per sé. Io ogni mattina dalla mia pagina FB mando un abbraccio e un’opera di De Stael o Blinky Palermo o una clip di un film, di danza di poesia. Impasto un dolcetto per la resistenza. Questo è. Lo metto sul davanzale e se qualcuno lo desidera, lo prende. Tu saresti stato stretto in questa storia. Obbediente ma spesso impaziente. Avresti avuto qualche corrispondenza solo tua perché, come ho già scritto, ti piacevano tanto i segreti. A volte di notte rotolo dal tuo lato del letto sino alla sponda che chiamavi Palestina perché ti piaceva occupare un posto stretto e solo tuo. Forse anche tu come me amavi il limite ma non lo davi a vedere. Nella chat condominiale nata da questa occasione si parla anche dei maledetti piccioni che sporcano i balconi delle case disabitate e siamo irritati. Però i gabbiani sono tornati snelli. Non c’è più tanto pattume in giro. Miracolosamente scomparsi i problemi di uomini e mezzi dell’azienda municipale. Vabbè, meglio così. Poi sempre in chat si organizzano feste di compleanno che vengono salutate da concerti alle ore 18 dai balconi. Prima della malattia ti avrebbe dato fastidio, forse, ma dopo penso che invece ti saresti commosso. Il dolore o rende egoisti o apre a spazi sconfinati. In entrambi i casi il rischio di perdersi è alto. La sera arriva presto. Finisco le mie giornate stanca. Anelo il letto per la mia povera schiena. Ascolto Scarlatti. Domenico non Alessandro. Anzi, ora vado, tu, per favore, se puoi, vienimi in sogno.