Nicola era così: un cuore che andava nudo incontro al mondo. Dipingeva sogni e inquietudini in tele che sapevano di antico, e indovinava nelle sue poesie il mistero della vita vera. Ogni pennellata, ogni parola, scritta o detta che fosse, ma pure ogni nota suonata, avevano una ritrosia bambina, come un fiore che avesse quasi paura di sbocciare per troppa luce o troppo buio. Sì, Nicola era un artista vero, non di quelli che girano il mondo autoproclamandosi tali fra clangor di buccine. Anzi, aveva fatto dell’arte una scelta esistenziale, nel senso che ogni passo su questa terra doveva sembrare fatto altrove, una di quelle orme luminose lasciate come un dono inestimabile sull’anima di chi lo incontrava. E, purtroppo, così, tutto si fa maledettamente più atroce. Lo ricordo bene, agli incontri organizzati da quell’infaticabile eroe di Gianluca: Nicola si piazzava il più lontano possibile dalle luci dei riflettori, in fondo ad una sala o nell’angolo remoto di una galleria. Poi, alla fine, quando piano si spegnevano i sorrisi e le lodi – chissà quanto sincere… -, sbucava lui e, con pudore, ti “conficcava” una domanda leggera leggera da non farti dormire la notte. Ora, Nicola, tradito proprio da quel muscolo che lui aveva purissimo nel petto, ha scavalcato il muro d’ombra per volare lassù. Dove gli angeli lo hanno visto arrivare col capo un poco chino, forse per non disturbare. E lo hanno abbracciato, come fanno quando riconoscono uno di loro…