Un
blocco di pietra, con due parole senza cuore, collocato nella nuda terra.
Tutt’intorno,
qualche fiore che si ostina a parlare di vita laddove si vuole solo ricordare
la morte (ma, forse, chi dona la propria esistenza per un ideale non muore mai).
È
tutto qui il monumento ai caduti di Mariotto.
Una
pietra fredda, dura e totalmente disanimata, che se ne sta in un angolo invisibile
della piazza.
Una
pietra silente e assente, come il corpo esangue di un soldato dimenticato.
Può
una simile semplicità riscattare quelle vite ingiustamente spezzate?
Per
coloro che la guerra l’hanno studiata sui libri, sì.
In
quella modestia non vi è nulla di sconveniente perché, in fondo, la
magnificenza non può certo redimere ciò che è perso di quegli uomini.
Ma
per chi ha combattuto, ha patito e ha sfiorato la morte, un monumento così
scarno appare quasi un oltraggio.
Un’altra
ferita impercettibile che va a solcare l’anima.
Il
signor Isidoro, classe 1923, è partito soldato a diciott’anni. In
Germania, tra indicibili atrocità e privazioni, ha consumato quelli che avrebbero
dovuto essere i migliori anni della sua vita.
“Voi non
potete nemmeno immaginare cosa sia la guerra”, racconta mentre s’aggrappa
al suo bastone, “sono stato soldato e poi
prigioniero in Germania, fino al giorno in cui sono scappato insieme a due
ufficiali. Siamo andati verso il fronte francese, oltrepassando villaggi e
montagne. È stata dura”.
Quelle
immagini nere come la notte si susseguono nella sua mente e, nel raccontare, la
voce non riesce a celare la commozione.
“Non avevamo nemmeno da mangiare”,
continua il signor Isidoro, “con la punta
degli sci spalavamo la neve per trovare le carote rosse. Quello era tutto il
nostro cibo”.
Poi,
si siede su una panchina della piazza per riposare le gambe tremolanti e guarda
il monumento a cui è affidata la memoria dei caduti.
“E’ solo una presa in giro”, prosegue
affranto, “sono anni che conduco una
battaglia per avere un’opera più dignitosa, ma nessuno mi ascolta”.
Proprio
in quell’istante un cane randagio, che nulla sa delle atrocità di cui l’uomo
s’è macchiato, scambia quella pietra per il suo orinatoio.
E
poco dopo vi rimbalza una pallone calciato con forza.
Così,
Isidoro si chiude in una nuvola di pensieri e tristi ricordi che a noi non è
dato conoscere.
Forse
sta pensando che almeno una stele per innalzare quel blocco da terra sarebbe
utile…