Grevi e lievi. Le note orchestrate a Mariotto dal Maestro Nicola Cotugno, che ieri sera ha diretto la Filarmonica Bitontina nel concerto mariano “Maria, Mater dolorosa”, avevano un che di sommo, di fisicamente sublime, come fremiti danzanti nella dolente armonia dell’animo. La Chiesa dedicata a Maria SS. Addolorata si è presto raccolta in una luce contrita, percorsa come da un senso di colpa mortificante: nessuno spazio franco, dunque, nessuna frivola evasione ha potuto concedersi. Ascoltare (e musicare) lo Stabat Mater è sempre un impegno preso con la propria coscienza, di credenti e non. Ecco, ieri sera il maestro Cotugno ha reso appieno la lettera e la profonda spiritualità della sequenza di Jacopone da Todi, educando ogni emozione e liberando con seducente malìa di gesti, l’intensità di note grevi e lievi. È questa la trama delle sensazioni provate, un racconto la cui tragica tenerezza finisce per essere il fil rouge di tutto l’ascolto, il metro di delicatezza di tutta la narrazione musicale. La serata è stata aperta dal brano moderno per orchestra di fiati Free World Fantasy (1987) di J. De Haan, un auspicio, o forse il sogno di un mondo di pace. Poi è andato in scena lo Stabat Mater, letto da Arcangelo Grumo e accompagnato da brani strumentali e vocali. Di grande pregevolezza è stata la prova offerta dalla cantante soprano Maria Carmela Panebianco, (standing ovation per l’interpretazione delle due Ave Maria di Caccini e Gounod) che con la vivida corporeità della sua voce, didatticamente inappuntabile ed espressivamente armoniosa e mai incerta, ha saputo vestire d’immagini ‘visive’ le sequenze della costernazione prima, e della supplica a Maria poi, magnificamente eseguite dai circa quaranta fiati dell’orchestra, tra cui figuravano tanti giovanissimi interpreti. Ottimi e appluditissimi il cornista Raffaele De Gennaro per il Cantus di Semeraro e Giuseppe Cotugno (figlio del Maestro) al clarinetto per il Gabriel’s Oboe di Morricone. Ad un certo punto del concerto, al termine della prima parte dello Stabat Mater, in cui si menziona la crocifissione e morte di Gesù, Nicola Cotugno ha inserito un brano (la Preghiera di Bergamini), in tonalità maggiore. Il direttore, una volta di più, non si è smentito e ha lanciato il suo messaggio: “Pur nella sua tragicità, per noi cristiani la morte di Cristo è il preludio alla Resurrezione e dunque alla salvezza eterna”. In chiusura, ad attenuare il pathos dello Stabat, ci hanno pensato due brani ritmici, Shalom di P. Sparke, della tradizione folkloristica ebraica; e l’opera rock di L. Webber, Jesus Christ Superstar. Le parole della Panebianco, infine, dicono dell’intensa emozione del canto, che è di chi ascolta ma anche di chi interpreta: “Si crea un dialogo incessante voce-strumenti che aiuta chi canta a evocare immagini e a rendere più chiaro ed espressivo il canto. Lo Stabat Mater è una preghiera che nel mondo attuale, pieno di conflittualità, ha una sua indubbia rilevanza sociale”. Il Comitato feste e don Emanuele Spano, che hanno organizzato il concerto sinfonico, hanno esteso l’invito alla partecipazione della Filarmonica bitontina alla kermesse festiva di domenica in Piazza Roma. Il gradito ritorno di Nicola Cotugno, ormai mariottano in pectore, è sempre l’occasione per un abbraccio tra vecchi e nuovi amici, un costante e affettuoso riconoscimento che va ben al di là del singolo concerto, essendo tributo sincero al maestro e all’amico di tutti. Con Nicola Cotugno bastano due note. Due note appena. Grevi e lievi.