Da un
lato, poteva essere un fulmine a ciel sereno.
Dall’altro,
però, se si guardano tante situazioni, sfaccettature e punti di
vista, non lo è per niente.
Il
sequestro di beni per un ammontare di 5 milioni di euro e la misura cautelare ai domiciliari per Giuseppe e Mario Colapinto, padre
e figlio rispettivamente di 61 e 33 anni, nonché legale e socio
della Cerin, effettuati ieri dalla Guardia di finanza e disposti
dalla procura della Repubblica di Bari, non sorprendono affatto.
Sia
perché la bolla era scoppiata quasi un anno fa, a marzo, allorché
si scopre che la procura del capoluogo aveva messo sotto indagine i
Colapinto e Grazia Fiore, legale
rappresentante di Cerin dal giugno 2013, perché accusati di non aver
versato nelle casse comunali una cifra vicina agli otto milioni di
euro
(http://www.dabitonto.com/cronaca/r/non-avrebbero-versato-i-tributi-dei-bitontini-nelle-casse-del-comune-indagati-i-vertici-della-cerin/5862.htm).
Sia per le continue visite delle fiamme gialle negli uffici comunali nei
mesi scorsi. Sia perché la storia tra Palazzo Gentile e l’ex ente di
riscossione tributi non è mai stata rose e fiori. Soprattutto negli
ultimi anni.
Tutto
inizia, però, con la seconda amministrazione targata Nicola Pice
(2003-2008). “Il
primo contratto con la Cerin – spiega Michele Daucelli, attuale assessore al Bilancio nonché titolare
della stessa carica all’epoca dei fatti – è
stato realizzato a fine 2003, e durava cinque anni. Era un contratto
che prevedeva soltanto supporto al Comune, e i soldi dei contribuenti
finivano regolarmente nei conti correnti comunali”.
Altrimenti
detto, “erano
gli impiegati dell’azienda che venivano a lavorare agli sportelli del
Comune – prosegue
l’assessore – poi
l’amministrazione Valla dapprima ha fatto una proroga di un anno, e
poi, dal 2009, con regolare bando, ha affidato alla Cerin la
riscossione esterna dei tributi”.
Nel
2011 si solleva il primo polverone. Il primo segnale che qualcosa non
va. La società di Colapinto contesta al Comune di aver maturato
oltre 5 milioni di euro di debiti, a causa di fatture non pagate da
Palazzo Gentile dal 2003 al 2011. L’ex sindaco Valla non ci sta e
decide di fare resistenza nelle sedi opportune. Procura della
Repubblica e Corte dei conti.
Tutto,
ovviamente, va per le lunghe, e nell’inverno 2013, come se non bastasse,
arriva la grana pignoramenti. Era il periodo, infatti, in cui la
Cerin si rivaleva sui
contribuenti morosi con la procedura giudiziaria di espropriazione,
nonostante le diffide arrivate dagli uffici comunali.
Modus operandi
duramente contestato dal sindaco Michele Abbaticchio, grande avversario di Cerin, che decide, a
fine anno, non senza polemiche e difficoltà, di non rinnovare il
contratto di concessione e internalizzare la riscossione dei tributi.
Dal 1 gennaio 2014, allora, tutto torna nelle mani di Palazzo
Gentile, come tra l’altro è sempre stato prima della parentesi
Cerin.
Ma
la “sfida” tra l’attuale amministrazione e l’ex concessionario è
solo agli inizi. Non solo perché dal Comune decidono di far partire
“Bitonto
digitale”,
altrimenti detto digitalizzazione dei servizi offerti al cittadino
(http://www.dabitonto.com/cronaca/r/bitonto-diventa-digitale-per-migliorare-i-rapporti-con-i-contribuenti/4401.htm), ma soprattutto perché, nel settembre 2014, arriva la richiesta di
poter accedere direttamente ai conti correnti dell’azienda. La
proposta, però, viene rifiutata dal giudice civile.
Il
resto, poi, è roba recente. Con l’ultima puntata con gli arresti di
ieri (domiciliari) e il sequestro preventivo dei beni per 5 milioni
di euro tra Bitonto, Santo Spirito, Palese, Statte.
Difficile,
però, credere che siamo arrivati al capitolo finale.