Si celebra oggi l’anniversario della liberazione italiana dall’occupazione nazifascista. 73 anni fa i fascisti e i nazisti furono sconfitti e la Seconda Guerra Mondiale, in Italia, terminava. Una liberazione che costò tantissimo in termini di vite umane, di sofferenze subite, sia tra la popolazione civile, sia tra gli eserciti.
Quella che oggi raccontiamo, in occasione della Festa della Liberazione, è la storia di alcuni di quei soldati che risalirono la penisola italiana per inseguire e cacciare l’esercito tedesco che, dopo l’armistizio dell’8 settembre, era diventato il nemico.
È la storia del LI Battaglione d’istruzione Bersaglieri. Una storia che parte da Bitonto, dove i soldati alloggiavano, ospitati nell’istituto scolastico “Nicola Fornelli”, dove nel dicembre scorso, gli esponenti dell’associazione “Reduci LI Battaglione Bersaglieri Montelungo 1943” furono ospitati per parlare con i ragazzi.
Parte da Bitonto, nella scuola adibita per l’occasione a caserma, e finisce nel Nord Italia, arrivando, nell’aprile ’45 nella Bologna liberata. È raccontata in un volume, pubblicato dall’associazione, che raccoglie i diari di guerra di alcuni dei soldati.
Ma procediamo con ordine.
L’8 settembre ’43, alle 20 alla radio, il generale Badoglio aveva comunicato al popolo italiano l’armistizio di Cassibile, con cui con il quale il Regno d’Italia cessò le ostilità verso gli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Il regime fascista era crollato e a breve sarebbe sorta nel Nord Italia la Repubblica Sociale Italiana. Nasce nel frattempo il fenomeno della Resistenza contro i nazifascisti.
I soldati del LI Battaglione d’Istruzione Bersaglieri AUC, di istanza a Marostica, quel giorno erano a Bitonto. Qui, infatti, erano stati destinati per difendere l’aeroporto di Bari dagli eserciti alleati. Ma, ormai, il nemico non era più rappresentato dagli Alleati, ma dai tedeschi. Che il 9 settembre volevano distruggere il porto di Bari perché, essendo di importanza strategica, non potevano lasciarlo al nemico. I soldati del LI Battaglione furono così chiamati a Bari dal generale Nicola Bellomo che aveva già ingaggiato scontri a fuoco contro i tedeschi, con caduti da entrambe le parti. Ma avendo intuito che i soldati di istanza a Bari nulla avrebbero potuto contro i nemici, chiamò loro in soccorso. Partirono con mezzi corazzati, motociclette e persino biciclette. Dopo una sparatoria senza vittime si giunse ad una trattativa in cui, in cambio della rinuncia a distruggere il porto, ai tedeschi fu garantito l’allontanamento in sicurezza.
Il giorno successivo altre schermaglie con l’esercito tedesco si ebbero nei pressi di Santo Spirito e Palese e, il 14 settembre, ai bersaglieri giunge la notizia dell’esercito tedesco in ritirata. È da Bitonto, dunque, che parte la risalita verso nord del Battaglione. Non prima di essere scesi verso sud.
Lungo il tragitto, tra Cassano e Santeramo, dove erano ancora presenti focolai di presenza tedesca, si notano i segni della battaglia. Nella notte del 20 settembre i nazisti avevano fatto esplodere un deposito di armi a Santeramo e avevano distrutto i ponti per Altamura. Liberata la zona, si continua a scendere a sud, passando per Monopoli, Brindisi, San Pietro Vernotico, Cellino San Marco, dove i soldati vengono accolti con cibo locale e bicchieri di vino.
Nel frattempo nell’animo dei soldati, cresce da un lato la voglia di ritornare a casa, dall’altro quella partecipare più attivamente alla cacciata dell’invasore, come racconta il soldato Alvaro Mori nel suo diario quando, il 14 settembre, un suo commilitone napoletano legge una lettera inviatagli dalla sorella, che descrive le sofferenze subite.
«Ascoltando da quelle parole semplici e sincere quello che i tedeschi hanno fatto e stanno facendo con la nostra martoriata Italia ci siamo sentiti fremere di sdegno e di indignazione; mai come in questo momento abbiamo sentito il desiderio di vendetta contro tanta brutale bestialità» scrive Mori nel suo diario.
Raggiunta Lecce, mentre Radio Fascista annunciava che i soldati di Badoglio sarebbero stati catturati e passati per le armi, incontrano il re Vittorio Emanuele III (in quel periodo le funzioni di governo erano state trasferite temporaneamente a Brindisi, che, sino al febbraio ’44, si trovò ad essere capitale provvisoria).
È a novembre che inizia la risalita. Prima verso Avellino per manovre di impiego insieme alle truppe statunitensi. Si risale dunque verso la Murgia, passando per la Lucania: «Ad Eboli, crudele destino, non è restato in piedi che il cartello indicatore della città e null’altro. Non sono riuscito a vedere una casa indenne, e così pure a Battipaglia. Ovunque distruzione e rovine. Nelle Campagne i segni delle battaglie duramente combattute: resti di armi, artiglierie, autoblinde, carri armati e migliaia di buche più o meno profonde a seconda della bomba».
Mentre l’umore basso provoca diverse diserzioni, si procede verso il casertano, dove l’8 dicembre, a Mignano Monte Lungo, ha luogo la battaglia di Monte Lungo che vede il LI Battaglione e gli americani scontrarsi con i tedeschi. Molti sono i morti da entrambe le parti, in una guerra che logora psicologicamente i militari. Ma alla fine, il 16 dicembre, i tedeschi sono costretti a ritirarsi per evitare di essere circondati.
La risalita prosegue nei mesi successivi per il Molise, l’Abruzzo, il Lazio, le Marche, mentre nel giugno ’44 gli americani affrontano i tedeschi nelle spiagge francesi della Normandia. Proprio in Abruzzo, a Chieti, l’autore del diario racconta di aver incontrato diverse persone rimaste senza casa, sfinite dalle vessazioni dell’occupante. Lì vicino, a Lanciano, i primi giorni di giugno c’erano stati bombardamenti tedeschi che avevano provocato 24 morti e tanti feriti, quasi tutti civili.
A luglio i soldati sono ad Ancona, dove il 17 si scontrano con le truppe nemiche, perdendo due commilitoni nella battaglia. Mentre altri soldati scelgono di disertare, a risollevare il morale è la notizia che i tedeschi cedono tu tutti i fronti.
A settembre sono a Cassino, dove assistono al risultato della lunga battaglia che lì si è tenuta per mesi. Ovunque c’è distruzione e l’Abbazia benedettina fondata nel 529 da Sa Benedetto da Norcia, la più antica d’Italia, è ridotta in rovina.
Nei primi mesi del ’45, i bersaglieri sono in viaggio per Bologna. Lungo la strada incontrano manifesti tedeschi che, riconoscendo la sconfitta, invitano ad evitare inutili spargimenti di sangue, informando che le truppe attendono solo l’ordine formale di ritirarsi. Ai primi di aprile anche radio e giornali annunciano l’imminente fine della guerra.
Arrivano a Bologna il 20 aprile del 45. La battaglia è ancora in corso e, a seconda del vento, si sente odore dei cadaveri in putrefazione. Lungo le campagne è alto il rischio delle mine piazzate dal nemico. Il giorno successivo si raggiunge il centro della città, mentre i tedeschi sono in ritirata in Lombardia e ormai prossima è la caduta di Berlino, dopo l’accerchiamento di Alleati e sovietici. E infatti il 5 maggio ai soldati giunge la notizia della fine della guerra in Italia, mentre due giorni dopo ricevono l’annuncio della fine delle ostilità in tutta Europa.