Siamo abituati, oggi, ad una comunicazione politica fatta di tweet, post su Facebook, selfie su Instagram, dirette, storie e tanti altri strumenti che le innovazioni tecnologiche degli ultimi anni hanno messo a disposizione. Il loro uso (e troppo spesso abuso) se, da un lato, ha permesso di dare molta più voce a chiunque abbia voglia di esprimere un pensiero, un’osservazione, dall’altro, probabilmente, ha contribuito a personalizzare (e troppo spesso ridicolizzare e rendere banale) ancor di più la politica e il dibattito politico, permettendo a chiunque di esprimersi in totale libertà, senza passare attraverso le maglie del proprio partito.
Ma non è di questo che, in questa sede, vogliamo parlare. Avremo modo di tornarci più in là. Il nostro obiettivo, oggi, è parlare della comunicazione politica all’indomani della nascita della Repubblica, quando tutte le forze dovettero tornare alla vita politica e quando non c’erano social network, non esistevano cellulari, non c’era internet, con le sue testate telematiche, i suoi aggiornamenti in tempo reale. Non esisteva neanche la televisione, che era ai suoi esordi, non alla portata di tutti e che, comunque, per molto tempo restò solamente strumento della politica nazionale, prima che la liberalizzazione delle frequenze desse vita ad una miriade di reti locali private che favorirono l’approdo in tv anche della politica nei suoi livelli più periferici.
Anche le radio, che comunque erano state le principali fonti di notizie, per le famiglie, durante il periodo bellico (illustre è l’esempio, a tal riguardo, di Radio Bari, che da strumento di propaganda fascista, assume un ruolo centrale nella rinascita democratica italiana, dopo la parentesi del regime e la guerra), non erano a disposizione della politica locale. Le frequenze radiofoniche erano, come per la televisione, sottoposte al regime delle concessioni e non esistevano radio private (salvo poche eccezioni).
Certo, ogni forza di governo, in ogni paese già utilizzava, per la propria propaganda mezzi come radio e cinema o come la nascente televisione. Ma qui si vuol parlare di come si conduceva il dibattito tra le forze che partecipavano alla vita politica locale. Non necessariamente le forze di governo, dunque.
Pochi erano gli strumenti a disposizione di chi faceva politica nelle città, nei paesi. Ed erano, principalmente, la piazza, dove montare palchi e organizzare comizi, i giornali (anche quelli strettamente locali, stampati nelle sedi cittadine dei partiti, di cui abbiamo già parlato), i volantini, i manifesti da affiggere su muri e bacheche pubbliche, le feste di partito, importanti appuntamenti per fare tesseramenti e per coinvolgere i cittadini alla discussione sui temi trattati, e i megafoni, con cui diffondere nell’aere i propri messaggi, sia dai palchi che dalle auto in giro per la città.
I partiti e le forze politiche dell’epoca, dunque, per autopromuoversi, potevano diffondere volantini lungo le strade, affiggere manifesti accanto alle proprie sedi, negli spazi pubblici o in quelle bacheche che, ancora oggi, seppur inutilizzate (a parte quella del Partito Socialista), troviamo lungo corso Vittorio Emanuele II. Erano bacheche, affidate alle varie forze politiche, che potevano utilizzarle per affiggere comunicati, dichiarazioni, commenti sulle vicende politiche e tutti quei documenti che oggi preferiscono affidare alle testate telematiche online sotto forma di comunicato stampa.
Potevano, inoltre, organizzare pubblici incontri e comizi in piazza, molto più affollati rispetto ad oggi. Potevano girare per le strade annunciando con megafoni i loro proclami o per pubblicizzare appuntamenti importanti e invitare la cittadinanza alla partecipazione.
Un curioso e simpatico episodio di comunicazione politica fu quello che, durante la campagna elettorale del ’48, si inventarono alcuni giovani militanti della Democrazia Cristiana con “L’ora lieta dell’elettore”. Girando per le strade cittadine, trasmettevano, quasi fosse una reale trasmissione radiofonica, dei messaggi preregistrati in dialetto bitontino. Messaggi contenenti sfottò verso gli avversari politici, dai comunisti ai monarchici e ai missini. Un modo per fare, attraverso l’ironia e la satira, campagna elettorale a favore dello scudo crociato. Messaggi di cui è stata conservata la memoria e che, nel 2011, furono pubblicati dal “Da Bitonto”, in un cd.
Ne parleremo in modo più approfondito più in là.