Annuncia
che sarà un «vescovo fatto popolo»,
un buon pastore che farà da guida al suo gregge, specie a quelle
pecore che si sentono scartate o emarginate.
Ammette
subito che se sbaglierà, «lo farò in buona fede».
Non
camminerà mai da solo, ma sempre accanto al territorio, alla
comunità, ai bisogni e alle necessità di tutti.
Uno
sguardo ai giovani, «il tema dei temi, e ai quali dobbiamo
chiedere scusa perché gli abbiamo tolto il futuro». Continuare
quanto di buono fatto in 25 anni con la basilica Santi Medici e la
Fondazione, specie nel campo dell’assistenza ai malati terminali(anche qui, a Cassano all’Jonio, c’è un hospice intitolato a
Giuseppe Moscati). Essere guida di una diocesi («non sono
soltanto di passaggio, ma ci resterò finché il Signore lo vorrà»)che allontani i falsi miti di Narciso e Pilato, l’individualismo,
l’idolatria del denaro e della ricchezza, la globalizzazione
dell’indifferenza.
La
“nuova” vita di don Francesco Savino (vorrà essere chiamato
così, ha detto ai fedeli alla messa di insediamento) inizia qualche
minuto prima delle 12 nella domenica in cui la Chiesa festeggia la
Trinità.
Il
primo giorno in quella che da ieri è la sua nuova casa e comunità
inizia dialogando con i giornalisti. Al suo fianco, don Francesco di
Chiara, vicario parrocchiale, e Roberto Fittipaldi, ufficio stampa
della diocesi calabrese.
Vescovo
fatto popolo. Il
nuovo arrivato mette subito le cose in chiaro. Ha già ben in mente
quello che bisogna fare: una diocesi che non cammini da sola, ma
insieme alla comunità. «Voglio
essere un vescovo fatto popolo – scandisce
citando don Tonino Bello – che
non vorrà mai camminare da solo ma sempre ascoltando, comprendendo,
dialogando, aprendomi all’altro, agli altri, alle parrocchie, al
territorio. Sarò un pastore di un gregge che non deve mai sentirsi
solo, che deve camminare con il suo popolo e per il suo popolo,
soprattutto per quelli che dalla società si sentono esclusi, poveri
e scartati, e tutti coloro che sono carne viva di Cristo. Gesù sarà
la stella che illuminerà il nostro cammino». Eccola, allora, la sua pastorale integrata.
«Le
opere che realizzerò? Non posso conoscerle – risponde
– perché le
chiederò al territorio e non saranno imposte da me. Quel che è
certo è che non farò mai concorrenza con le istituzioni».
Un
sì convinto arriva, ovviamente, al progetto “Policoro”, che
da anni si impegna ad aiutare
i giovani del Sud dell’Italia disoccupati o
sottoccupati a migliorare la propria condizione lavorativa sia
tramite la formazione e l’informazione personale sia con la
fondazione di cooperative o
piccole imprese.
«Dobbiamo
chiedere scusa ai giovani». Il mantra di don Francesco saranno i giovani. Che si sentono
smarriti, persi in un senso di impotenza verso il presente e il
futuro. «Dobbiamo
chiedere scusa a loro – sottolinea
– perché gli abbiamo
tolto il futuro. Abbiamo sottratto la vita a una generazione intera. I giovani devono essere e saranno il tema dei temi, così come lo sarà
quello del lavoro che sta ammazzando la gente».
Chiesa
aperta ai segni dei tempi. Fresco
anche del recente incontro con papa Francesco, il neo vescovo
analizza senza sé e senza ma quelli che sono i problemi della Chiesa
odierna. Piena di individualismo, seguace di Narciso e Pilato che
deve cambiare rotta. Incapace di coniugare nel miglior modo possibile
modernità e tradizione. Che deve aprirsi ai segni dei tempi.
Che combatta la globalizzazione dell’indifferenza e si apra alla
cultura dell’accoglienza.
Porte
aperte (parziali) dunque anche agli omosessuali, «verso
i quali nella mia diocesi ci sarà ascolto, dialogo, accoglienza,
reciprocità, ma un conto sono i diritti civili un’altra cosa è il
matrimonio. Non voglio, però, che su questo tema ci siano né
scontri ideologici né colonizzazione ideologica».
«Viviamo
nell’epoca del dominio della finanza sull’economia e sulla politica –rimarca don Francesco –e nel tempo del sospetto
e della diffidenza, perché anche il nostro migliore amico ci fa
paura. Non riusciamo a sottrarci all’individualismo, all’idolatria
del denaro e della spietata concorrenza, a guardare l’altro. Il buon
cristiano è colui che porta in una mano il Vangelo e nell’altra il
giornale, e deve saper essere in grado di gestire la potenza del
cuore e quella dello spirito».
Non
da meno, inoltre, l’invito «ad
azzerare le distanze tra i fatti e le azioni».
«Non
sono di passaggio». L’ex
rettore della basilica Santi Medici, poi, è sicuro che nella diocesi
di Cassano all’Jonio (a proposito, da ieri è diventato un cittadino
della Calabria), non sarà soltanto di passaggio, «ma
ci resterò fino a quando vorrà il Signore».
Infine
un invito: «Non voglio
essere chiamato Eccellenza, se non l’ultimo giorno se avrò davvero
fatto qualcosa di eccellente e grande».