La lezione più bella arriva a fine serata. L’insegnamento più grande ai non pochi studenti che hanno preferito passare un pomeriggio culturalmente ricco (peccato, però, che tanti altri, giovani e non, siano rimasti a casa) per ascoltarlo. “Il presente parte dal passato prossimo, non dal trapassato remoto”. Alias: rivediamo il modo di insegnare la storia nelle nostre scuole. Partendo magari dalla Rivoluzione francese.
C’è tanto altro, però. E d’altronde con Gianni Oliva non poteva essere altrimenti. Soprattutto se l’argomento centrale si chiamava foibe. Dialogando con due professori, Lucia Achille e Giovanni Procacci, lo storico e scrittore di fama nazionale – siamo sempre nell’ambito della rassegna “Memento”, e in uno dei cinque eventi organizzati dall’accademia “Vitale Giordano” – ha illustrato ai presenti cosa c’è dietro quella triste parola. Infausto periodo della nostra storia che fino al 2004 era conosciuto da tanti ma gridato da pochi (ed erano gli esponenti dell’ei fu Movimento sociale italiano, ndr), una efferata crudeltà di cui ancora non si conosce il numero esatto delle vittime (forse 20mila, la maggior parte presa di notte, ndr) e che ha chiuso nel peggior dei modi un lunghissimo periodo di convivenza civile nella zona dell’Istria, Trieste e Dalmazia. Dove, per secoli, hanno vissuto e convissuto lingue e culture diverse. Ma poi, tra il 30 aprile e il 12 giugno 1945, i titini si sono divertiti a gettare i nostri compaesani nelle foibe, come se fossero carcasse e cose senza importanza. E a costringerne in quantità industriale a fuggire per salvarsi.
L’incipit di tutto – ha ragionato l’illustre ospite al teatro “Traetta” – è stato il fascismo che, sicuramente non usando la malvagia modalità dell’infoibamento, ha cercato di italianizzare quelle zone. Durante il ventennio e nei primi anni del secondo conflitto mondiale. E, quindi, allora, per “vendetta”, un generale dal nome Josip Broz Tito – uno che qualche anno dopo si distaccherà persino da Stalin – agli sgoccioli della seconda guerra e fino al trattato di pace di Parigi, e deciso a slavinizzare quelle terre, ha fatto mattanza degli italiani lì presenti. Improvvisamente trattati come desaparecidos.
“Le foibe non sono state un genocidio – ha sottolineato – ma una eliminazione etnica perché fatta contro gli italiani, e politica poiché si voleva far fuori quella classe dirigente e tutti coloro che potevano ostacolare il suo progetto. Che era anche quello di unire quelle Regioni al nostro confine utilizzando il nazional comunismo”. Un qualcosa di terrificante, allora, “e anche per gli esuli la situazione non è stata semplice sebbene ospitati in ben 109 campi di accoglienza una volta tornati in patria”.
E, in tema di aspetti terrificanti, anche al silenzio che ne è seguito per oltre 50 anni si attaglia quest’aggettivo qualificativo. Già, perché si è taciuto? “Le motivazioni sono tre: silenzio internazionale, silenzio di partito (quello del Partito comunista italiano, ndr) e silenzio di Stato”.
E per chiudere c’è un numero: lo zero. Zero, come gli esponenti della giunta cittadina accorsi al nostro contenitore culturale per gli onori di casa all’illustre ospite.