(di Donato Rossiello, Nico Fano)
A volte la semplice provocazione, spesso sganciata a conclusione di sceneggiature, drammaturgie o saggi, cela una mole di spunti d’analisi, riflessioni e argomenti degna di specifici approfondimenti. Un processo simile a quanto accade nelle fiabe, con le loro morali autoesplicative in cui il senso di mille peripezie si concentra in criptiche ma inequivocabili battute finali. È quanto ci siamo ritrovati a scrivere (quasi) in calce al nostro articolo precedente…
C’eravamo lasciati con una frase ad effetto che sollevava più di un dubbio: la figura del presidente degli Stati Uniti d’America, fondamentale per le politiche interne e cruciale sullo scacchiere internazionale, è davvero così influente nell’andamento dei mercati finanziari globali?
In seguito a non poche polemiche è notizia recente l’ufficialità di Joe Biden come 46esimo presidente USA. Quanto la preferenza del popolo americano di un candidato democratico – piuttosto che repubblicano – incide sull’ambito finanziario? Dando un’occhiata a quanto accaduto nella storia recente possiamo affermare che sia del tutto indifferente.
Perché? Bisogna anzitutto scindere la politica dai mercati. I due aspetti seppur interconnessi sono entità distinte, con pesi specifici diversi. È indubbio che “asini” ed “elefanti” spingano politicamente su temi opposti, puntando a veri e propri feticci tradizionali dell’uno o dell’altro schieramento. Paese che vai, ridondanza che trovi!
A riprova di quanto sostenuto, osserviamo con attenzione i grafici sull’andamento dell’indice S&P 500 [ricordate il già citato Standard & Poor’s 500? – nda] correlato agli ultimi cinque uomini a guida della Casa Bianca. La nostra scelta di non andare troppo a ritroso nel tempo è legata all’evoluzione della Borsa e del suo ruolo, divenuto (a partire dagli anni ‘80) sempre più determinante per le sorti del mondo rispetto al passato.
Nel gioco di alternanze si sono avvicendati il repubblicano George H. W. Bush (periodo 1989-93), poi il democratico Bill Clinton (1993-2001), il repubblicano George W. Bush (2001-09), il democratico Barack Obama (2009-17) ed infine il repubblicano Donald Trump (2017-21). La scadenza di ogni mandato e l’istituzionale scambio di consegne avviene nella data consueta del 20 gennaio.
Ebbene, durante i rispettivi insediamenti è stato realizzato +55% (Bush senior), +201% (Clinton), -36% (Bush junior), +181% (Obama), +57% (Trump). Qualcuno è stato più fortunato di altri a trovarsi in contesti favorevoli a prescindere dalla propria azione di governo; ad ogni modo, l’indice dei mercati si sviluppava in dinamiche autonome e indipendenti dal leader a stelle e strisce in carica.
In questo caso ci sentiamo di concludere ritornando a vecchie memorie machiavelliche; le virtù di un “principe” risiedono nella capacità di decidere tempestivamente ed in maniera risoluta in base alle date/mutevoli circostanze esterne, non lasciandosi travolgere dagli eventi ma traducendoli a favore proprio e della collettività.