Ventotto anni, nativo di Gallipoli, passato da senatore accademico dell’Università del
Salento, dal 2012 responsabile nazionale dei giovani democratici ai Saperi e
al Mezzogiorno.
Stefano
Minerva è il più giovane candidato al Parlamento europeo.
È in quota Partito
democratico (dal quale era stato inizialmente scartato, ma poi ripreso a furor
di popolo) e ieri sera ha visitato il circolo bitontino.
Per sottolineare i
motivi della sua discesa in campo. «Si deve cambiare prima l’Italia e poi
l’Europa, assolutamente lontani dai loro principi costitutivi. L’Unione europea
così come è non convince e le destre l’hanno rovinata con le loro politiche
liberali. È necessario ritornare all’Europa dei popoli, a un continente che
sappia parlare ai giovani e alle nuove generazioni, che purtroppo pagano 30
anni di scelte sbagliate, ma anche il loro scarso coraggio nel ribellarsi a
certe decisioni che venivano prese nel loro partito».
Già,
ma come riportare il vecchio continente sulla retta via?
Le parole chiave per
Minerva sono cultura, agricoltura, economia, pesca. E corretta attuazione del
trattato di Lisbona, che vedrà alcuni punti andare in porto proprio con queste
consultazioni. «Bisogna usare i fondi strutturali per sostenere il diritto
allo studio, della ricerca e delle borse di studio Erasmus. È necessario
portare da 6 a 60 i miliardi stanziati per “Garanzia giovani”, il progetto
comunitario che dovrebbe combattere la disoccupazione giovanile (http://www.dabitonto.com/cronaca/r/emergenza-disoccupazione-la-regione-recepisce-il-programma-europeo-garanzia-giovani/3208.htm). Senza
dimenticare gli incentivi per i programmi integrati di riqualificazione urbana,
e l’impegno per le normative aderenti alle specificità territoriali», sottolinea
il giovane esponente del Partito democratico.
Partito
democratico e Partito socialista che a questa tornata continentale
confluiscono nel Partito socialista europeo, la grande famiglia della sinistra
continentale vogliosa di mettere fine all’esperienza decennale del Partito
popolare europeo e del suo presidente Manuel Barroso.
E del voto al Pse, in vista delle consultazioni del 25 maggio, si è
parlato sempre ieri nel secondo dei tre incontri organizzati da alcune liste
civiche (Laboratorio, Città democratica, Progetto Comune, Giovani con Michele
Abbaticchio, Per un cambio generazionale vero), al quale ha partecipato lo stesso Minerva.
«Soltanto
la democrazia può fermare l’Europa – sottolinea Valentino Losito,
presidente dell’Ordine dei giornalisti pugliesi e relatore del convegno – e
i giovani devono essere la grande spinta per dare vita a una nuova Unione
europea, che onestamente fa fatica a essere compresa quando stanzia soltanto 6
miliardi per la disoccupazione giovanile e ben 700 per salvare le banche».
Mario
Serpillo, socialista doc e presidente della Unione coltivatori italiani, è
convinto che, per affrontare le sfide della globalizzazione economica e
politica, ci sia sempre più bisogno di Unione europea e meno di singoli Stati.
«L’accordo Pd – Psi che si è stipulato per queste consultazioni – analizza
Serpillo – deve essere visto come un atto di fiducia che deve essere da
esempio per gli italiani. L’Italia deve smetterla di andare a Bruxelles con le
braccia aperte quasi stesse elemosinando qualcosa, ma deve andare con i pugni
chiusi a batterli sul tavolo per farsi ascoltare».
Per
Giovanni Procacci, due volte europarlamentare, il problema dell’Ue ha un nome e
un cognome: Consiglio europeo, «una istituzione che rappresenta i singoli
Stati, che decide all’unanimità in modo tale che anche il voto dei Paesi più
piccoli conti quanto quelli più grandi, e non funziona democraticamente». E che ha l’esclusiva,
o quasi, della politica estera dell’intera Unione europea. Che, però, è anche
solidarietà, «visto che finanzia le uniche opere pubbliche che i governatori
locali possono avviare, completare e inaugurare», ricorda Procacci, secondo
cui l’idea di Europa (federale o confederale che sia) si è persa perché anche i
media italiani ne sono distanti.
L’ex senatore democratico, poi, diffidando di
un voto dato ai populismi («si alimentano soltanto con la paura e la
disperazione delle generazioni») ha anche la soluzione: le cooperazioni
rafforzate, una sorta di Ue a doppia velocità «che scardini un sistema
eccessivamente bloccato da chi mette troppi veti, e che consenta su alcune
precise questioni di decidere soltanto a maggioranza oppure che siano soltanto
alcuni Stati, magari i più importanti, ad adottare certe misure».
L’esempio
lampante è proprio l’euro, su cui vige il principio dell’”opting out”, la deroga che è concessa agli Stati membri che non
desiderino associarsi agli altri con riguardo a un particolare settore della
cooperazione comunitaria.
Un
invito a non votare i populismi arriva anche da Gianvito Mastroleo, già
presidente della provincia di Bari, che spiega altresì perché votare Martin
Schulz (candidato alla presidenza della Commissione europea) e il Partito
socialista europeo: «L’Unione europea deve ritrovare il coraggio di osare e
la democrazia».