Sono tornato a camminare nelle strade della mia Bitonto dalle quali il lavoro mi ha tenuto lontano per 25 anni.
La sto riscoprendo lentamente, avvicinandomi con discrezione, come ad una vecchia madre che, con timidezza e rispetto, torniamo a visitare dopo molto tempo.
Le rughe si sono fatte più profonde.
Soprattutto nella parte antica.
Me ne ha dato occasione una passeggiata, quasi notturna, con amici venuti da fuori.
“La Vamasciol”, “San Silvistr”, “R Ppedd” quanti tuffi al cuore, quanta feroce nostalgia.
Qualche sera prima, aggirandomi dalle parti di San Pietro, il mio passo “sop a r chiangh” è stato, ad un tratto, come addolcito, accompagnato, accarezzato dalle note di una delle “marce funebri” che una banda musicale stava provando da quelle parti.
Una sensazione di struggente bellezza.
Il pensiero è volato all’infanzia, all’adolescenza, a quelle Quaresime vissute nella Bitonto antica.
Questa, forse, è vacua poesia se pensata nella cronaca disperata e violenta della nostra città.
Del nostro centro storico, stuprato dai signori della droga, e che il coraggio di non pochi giovani imprenditori sta cercando di non far inabissare per sempre in un abbandono senza speranza.
Quella musica antica però mi diceva che se non possiamo far molto, possiamo continuare a seminare bellezza, traendo forza dalle rughe della nostra seconda madre, la città.
Questa Bitonto così bella e non ancora definitivamente perduta se i suoi figli torneranno a volerle bene.