“Non possiamo pretendere che le cose
cambino, se continuiamo a fare le stesse cose“, Albert Einstein.
“La vera crisi è dentro di
noi“, corollario mio.
Ogni anno ascoltiamo dai mass media
che la crisi terminerà l’anno successivo, ma questo puntualmente non avviene e
non accadrà mai se non si rinviene un antidoto a questa morbo che trancia di
netto le nostre sinapsi, limita le nostre azioni e ci costringe a coltivare il
proprio orticello.
Ogni giorno mi alzo e vedo Bitonto
uguale a se stessa, non intendo nell’aspetto- sembrerebbe ci sia una
rivoluzione in corso, non saprei come definirla- ma, nonostante tutto, il
bitontino decide o decide quotidianamente di non cambiare.
Qualche giorno fa,
mentre mi recavo a lavoro, dal finestrino di un’autovettura ho visto gettare la
prima, la seconda, la terza carta… avrei voluto accostare quel veicolo e
dirgli gentilmente “Guarda che hanno inventato i cestini, a casa tua getti
i rifiuti per terra?“.
Sono convinto che quel signore che per motivi di
traffico non ho avuto il piacere di conoscere, mi avrebbe risposto “Vattene o ti gonfio!”
oppure “U mè, mica lo faccio solo io, lo fanno tutti!“.
Periodicamente quando esco di casa, sui gradini del mio uscio, sui cui
giornalmente ospito studenti dalla lingua bagnata dai faticosi studi o
pensionati che discorrono ad alta voce di politica spicciola, vedo collocata in
bella vista la solita bottiglia della Dreher accompagnata da carta unta e
tracimante di pomodori, magari cumuli di “gratta e vinci” stracciati
dal solito “scavicchiatore compulsivo”.
Mi guardo intorno: non c’è
uno spazzino o meglio operatore eco-logico; eppure il cestino è lì a tre metri,
completamente vuoto, non è stato ancora divelto o incendiato da nessun
“moicano”.
Forse, quei ragazzi erano assenti a quella lezione di
educazione civica, ma molto spesso non sono solo ragazzi, ci sono bambini
cresciuti che ignorano di essere condomini di quella strada o di quel marciapiede.
Forse lo ignoriamo tutti, me
compreso; ma la parola condominio deriva dal latino con-domìnium, significa
dominare insieme, ovvero esercitare il diritto alla proprietà insieme agli
altri, quindi presuppone un interesse comune.
Io sono nato, ho studiato e ho
deciso di lavorare a Bitonto, ma dov’è questo “interesse comune”? Forse
si annida in qualche cunicolo angusto del nostro animo, o è in letargo e si
risveglia quando si è colpiti personalmente, per poi estinguersi quando bisogna
combattere per gli altri… ” ecce la cultura dell’orticello”!!!.
Continuo a rincorrere sempre il
solito operatore eco-logico, per implorargli di pulire “quella corte
lì”, sì nel nostro amato Centro Storico, origine della gens butuntina, culla delle più grandi
menti…
Non vi nascondo che mi sono armato e ho provveduto da solo. Sì, quella
corte, ove periodicamente riponevano merce rubata, facevano festini a base di
cannabis, e confezionavano qualche furto a base di ferro, l’oro rosso di Bitonto.
E’ bastato un piccolo gesto, dare
nuovo decoro architettonico alla mia facciata prospiciente la corte, liberarla
da qualche “pericolo”, sostituendo “a mie spese”, un passo
d’uomo, alias un coperchio ormai sfondato di un pozzo pubblico di acqua piovana,
per far sì che quella corte conquistasse un nuovo rispetto agli occhi di
“quel bitontino”.
Ora, non
stanzia più nessuna congrega di “cannati”, nessun ricovero di vespe
rubate, e udite udite… quell’operatore eco-logico ,”restio nel
pulire”, adesso ramazza con più piacere (quasi col sorriso!!!). Così spero
di aver risolto la mia piccola crisi personale che in realtà non era solo la
mia, ma l’anticamera di una che travolge l’intera città.
Edi Rama, ex sindaco di Tirana, è
riuscito a riqualificare contesti urbani fatiscenti con interventi modesti,
consistenti nell’uso artistico del colore applicato alle facciate di edifici
prospicienti luoghi pubblici. Nel suo discorso del maggio 2012 ribadisce come i
suddetti interventi abbiano innescato comportamenti virtuosi nei cittadini, che
hanno incominciato a non accatastare rifiuti per strada, a pagare le tasse e
conclude dicendo che “la riqualificazione degli spazi pubblici fece
risvegliare un sentimento di appartenenza ad una città che la gente aveva perso…
la bellezza stava facendo da guardia“.
Leon Krier, in un suo scritto
straordinario “Architettura, scelta o fatalità” conclude che “Tutti gli edifici, grandi o piccoli, privati o meno,
hanno una facciata; essi influiscono sullo spazio pubblico aumentandone o
riducendone la qualità, impoverendoci o arricchendoci. L’architettura della
città e lo spazio pubblico sono un bene comune così come le leggi e la lingua“.
Questo aneddoto non vuole essere
un’invettiva alla macchina delle pulizie bitontine, ma una semplice
dimostrazione della validità del teorema e del conseguente corollario.
La vera crisi è dentro di noi e si
esaspera quando non contestiamo, non ci lamentiamo, ci assuefacciamo
all’ordinarietà delle abitudini paesane, rinunciamo ad esporre un punto di
vista obliquo su determinate questioni o a scontrarci, consapevoli dell’ardua
battaglia, col burocrate di turno che non vede più distante del suo naso, fissa
il dito e ignora il bagliore della luna.