La verità, come insegnava don Lisander, quasi sempre è nel mezzo.
Elezioni dei Comitati di quartiere, domenica scorsa.
Nell’Italia dei campanili, ad operazioni concluse, non potevano non formarsi schieramenti opposti. Da un lato, i vessilliferi del giubilo, soddisfatti dell’esito delle urne.
Dall’altro, i sostenitori dello scoramento, immagoniti dai numeri per la verità piuttosto miseri.
A votare, infatti, s’è recato solo un affannato 5% degli aventi diritto.
La vicenda, però, merita qualche riflessione che vada al di là del mero dato aritmetico.
Parto da una impressione personale.
Dinanzi al seggio sistemato nell’atrio di Palazzo Gentile, mi è parso che la democrazia, nel suo piccolo, fosse in cammino.
Tra mille dubbi laceranti e un nullificante scetticismo, uomini e donne – non tutti vicini ad organizzazioni partitiche cittadine, anzi – con un sorriso portavano a compimento un faticoso, ma meritorio percorso iniziato con un regolamento, proseguito con incontri e riunioni, e culminato nel rito domenicale.
Tuttavia, chi andava a scegliere il suo rappresentante, spesso chiedeva se uno era preferibile ad un altro, come se si fosse nel pieno di una autentica campagna elettorale.
E sì che l’homo italicus è sin troppo aduso a metter croci su schede nella speranza – quando si scommette sul cavallo vincente – di portarne meno sulle scapole, salvo poi abbandonarsi ad un dilagante livore nei confronti di chi asside sugli scranni più alti.
Altri, poi, giudicavano superfluo e ipso facto inutile questo nuovo soggetto che si andava a costituire, proponendo le consuete argomentazioni d’obiezione.
Forse, al popolo bitontino manca ancora un po’ di maturità politica per comprendere che un organismo di partecipazione diretta comporta un civico impegno, certo, ma permette anche di sottrarre qualsiasi alibi all’azione di una amministrazione.
Presentare problematiche, avanzare proposte e incalzare chi di dovere: tutto questo potrebbe mettere chi governa la città nelle condizioni di non fuggire più dalle proprie responsabilità.
E pure il cittadino, finalmente, invece di dedicarsi con buona lena a stanche geremiadi potrebbe rimboccarsi le maniche e far sentire la sua voce.
Insomma, sarebbe un sogno.
Purché il tutto non si esaurisca in una illusoria operazione di facciata o, peggio, in una cernita, come dire? preventiva, di consensi futuri.
Arenare un processo democratico così coinvolgente ed interessante, sopire una rivoluzione silenziosa in prospettiva fruttifera, sarebbe una grave colpa per chi di questa preziosa parola – democrazia – narcisisticamente si bea.