Parto dal frusto adagio che vuole la “Historia magistra vitae“, che già era una libera interpretazione di un’espressione polibiana ad opera di Marco Tullio Cicerone – che, come dire, se lo poteva permettere – il quale aggiungeva “testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, nuntia vetustatis“.
Dunque, quante cose è la Storia.
“Testimone dei tempi” e non del tempo, perché gli eventi si susseguono in una concatenazione retta da un filo logico non sempre evidente, ma sotteso ed esistente, per cui non è detto che i fatti si possano riproporre pari pari, ma i meccanismi che li generano possono avere molti elementi in comune.
Che solo una visione panoramica e, per quanto possibile, onnicomprensiva, ci può dare la possibilità analizzare per scovare le ragioni della verità, illuminandoci.
Lungi da me la volontà d’impossessarmi dell’assoluto e dell’apodittico, che dell’Homo poco sapiens contemporaneo proprio non è, ma piuttosto faccio appello alla “verità della storia“, che mai deve essere disgiunta manzonianamente dalla “verità dei poeti“, avendo sempre il dubbio quale strumento principe di scandaglio.
Spiego rapidamente con un esempio.
Ci sarà un perché se Publio Virgilio Marone e Gaio Sallustio Crispo erano giunti ad una posizione molto simile sul motore primo delle azioni dell’uomo: “auri sacra fames” e “libido dominandi” e già nelle definizioni si comprende la differenza del metodo d’indagine del reale che assunsero. E pensate un po’ a come vanno le cose oggi.
E siamo agli apparenti ossimori.
La “vita della memoria” significa che il passato dev’essere sempre presente non per annullarne il didascalico retaggio, bensì per rafforzarlo.
L’oggi è composto sempre da mille ieri.
Ancora. “Annunciatrice dell’antichità“, che vale come conferma del concetto pur mo’ esposto con la valenza lungimirante che offre la capacità di leggere fra le righe le vicende dell’umanità.
Ecco perché sono rimasto deluso dalla formula un po’ semplicistica con la quale lo storico e giornalista insigne Paolo Mieli, ospite della nostra città sabato scorso, ha liquidato la Storia (“gli italiani sono tutti cialtroni“).
Senza fare ricorso alle tesi dietrologiche e complottiste che ammorbano la ricerca storiografica, avrei voluto ascoltare parole più profonde.
Anche perché, senza accorgercene, troppi “ismi” stanno assediando l’Istoria (“ciò che lo studioso vede”): revisionismo, negazionismo, rovescismo.
Ecco, non avevamo bisogno pure di semplicismo e relativismo.
Altrimenti non capiremmo mai se c’è un nesso oppure no tra Auschwitz e la strage in Nigeria, dove 86 bambini sono stati bruciati vivi da Boko Haram, proprio in queste ore…