Ecco, cosa combina l’incultura di renzi e del renzismo!
Formalmente, su decisione del consiglio comunale, il dario nardella, uno dei tanti cortigiani di renzi (ovviamente, fino a quando il putto prodigio del cosa non è la “POLITICA”, del come non fare “POLITICA” insidierà “Palazzo Ghigi”, cioè fino al 4 dicembre 2016, il giorno in cui il popolicchio italiettino, finalmente resipiscente, lo “disoccuperà” con una valanga di “NO” al di lui polpettone costituzionale), a lui succeduto nella sindacalità della firenze di oggi (tanto, tanto ieri la Patria di Dante! E MI fermo, ché, per Citare le Mille e Mille Eccellenze nell’Arte, nella Letteratura, nella Filosofia, nella Scienza, nella Politica, Nate in Essa dal Grandioso Ieri al miserabile oggi, servirebbe lo spazio di una Biblioteca intera) ha ceduto l’Alta Onorificenza delle “Chiavi della Città” a un tal batistuta.
I moltissimi, che non s’intendono del “gioco del calcio”, che, però, come gli innumeri Pastori Sardi, da ME Conosciuti, avendo Insegnato, anche, in Sardegna, nel Nudo Silenzio del Gennargentu hanno Memorizzato “La DIVINA COMMEDIA”, con grave imbarazzo, “tamen” non quello da comprensibile ignoranza del manzoniano don abbondio, se mai quello da Eccesso di Cultura, che distrae da ciò attrae la plebe o i patiti logorroici dei “bar dello sport”, Esploderebbero, Parafrasando la domanda del vile curato di Don Lisander: “Batistuta? Chi è costui?” Costui, dunque, buon calciatore, buon attaccante, ma non un fuoriclasse alla Meazza, alla Pelé, alla maradona, alla messi, alla ronaldo, avrebbe per un decennio calpestato il terreno di gioco del calcio dello stadio”Franchi” di firenze; avrebbe segnato qualche “goal”, utile per qualche vittoria della “fiorentina”. Tutto qui! Insomma, non a un Uomo di Arte, di Scienza, InseritoSi nella Scia dei Grandi Uomini, che Lustro Diedero a Firenze in Italia, nel Mondo, nei Millenni,”sed” a un mercenario della “pelota” le autorità attuali, senza Autorevolezza Culturale, della firenze di oggi hanno conferito l’alto Onore delle “Chiavi della Città”, dequalificandoLo con l’ammannirLo ad un omino senza qualità. Segno codesto inqualificabile, ingiustificabile evento dell’irreversibile declino culturale, etico politico non solo della zolla gigliata, ma, anche, dell’intero stivale italiettino.
Nessuno ha protestato, ché tutto è ovvio, compatibile con il “craniume” senza materia grigia della maggioranza degli stivalati. C’è, ancora, qualcuno che riesce ad Indignarsi “in his temporibus” ? Allora, Si faccia Sentire in qualche modo e, altrettanto in qualche modo, Condivida il mio Scritto.
Qualche giorno fa su “facebook” ho Intrattenuto una civile, garbata, pacata Discussione con un mio antico e caro Amico su aldo moro e michele mincuzzi, prima vescovo ausiliare di bari e, poi, dopo ugento, per anni vescovo di lecce. Premetto che non ho mai letto niente di codesto signore, se non un brano di un suo scritto su aldo moro, prigione delle “brigate rosse”, che, poi, Leggerò e Commenterò. Però, per entrare “in medias res“, devo Contestualizzare i miei Ricordi nella grande Storia che lambì bitonto. Subito dopo la caduta del fascismo e con l’arrivo degli alleati a bitonto, il cui comandante, il generale alexander, s’era sistemato in una villa di santo spirito, mio padre fu invitato da essi, con l’ing. calamita, con il maestro tempesta e altri, a formare una giunta comunale che il “borgo selvaggio” amministrasse sino alla celebrazione delle democratiche (diciamo!
Quando si parla di elezioni e di democrazia nell’italietta e non solo, bisogna avere in mente che la loro validità, legalità, democraticità è, sempre, ipotetica e, quindi, formale, ché molto scarsa, se non al 90%, cifra sovrastimata, inesistente la sovrana consapevolezza degli aventi diritto al voto) elezioni amministrative nel 1950. Spesso, MI capitava di accompagnare mio padre nelle riunioni informali con i colleghi di giunta per decidere a quali problemi dare la priorità, essendosi di essi ravvisata la necessità di una urgente, celere risoluzione. Spesso, in quelle riunioni, preparatorie delle giunte convocate con i crismi formali, sentii i partecipanti ad esse pronunciare il nome e il cognome di mincuzzi, allora un prete molto addentro nelle cose sacre e profane di bari e provincia, e molto ascoltato dall’arcivescovo enrico nicodemo che nel 1966 lo ordinò vescovo.
Ricevuta la nomina di vescovo di ugento – santa maria di leuca, il mincuzzi divenne amico di famiglia di aldo moro e più e più aumentarono i “rumors” che bisognasse al prelato rivolgersi in quanto molto vicino a colui che era arrivato nel panorama del politicume italiettino al prestigio di palazzi dove tutto si poteva ciò che si voleva. Ovviamente, tra moro e mincuzzi il rapporto amicale era biunivoco: a lecce c’è un adagio che recita: “se amici vogliam essere, panierino va e panierino viene”. Se il prestigio politico di mincuzzi nel feudo moroteo aveva un certo spessore, data la familiarità con moro, anche moro traeva un significativo beneficio dalla familiarità con mincuzzi, ché le raccomandazioni di voto, sia pure non esplicite, di un mitrato ai beghini e alle beghine, avrebbero ingrossato il suo bacino di consensi elettorali in tempi in cui era al massacro il gioco delle preferenze all’interno dei partiti, specie, in quello democattolico che s’infognava nell’essere partito – stato, niente di più e niente di meno del partito comunista nell'”URSS” e nei paesi della cortina di ferro. Nel corso del drammatico rapimento di moro mincuzzi si adoperò, come si adoprarono tutti i democattolici affinché, evitando che lo stato scendesse a patti con le “brigate rosse, NON si salvasse la vita del presunto statista.
Infatti, tutte le testimonianze, i documenti, le affermazioni dei brigatisti catturati, di componenti di spicco di organizzazioni mafiose e camorriste concordano nel concludere che se nelle segrete stanze dei più importanti “palazzi” romani e non si fosse voluto, moro si sarebbe salvato, ma non si volle. Moro sapeva troppo, non si mise, mai, di traverso nei confronti di coloro che mettevano in opra le ignominie, di cui egli, volta a volta veniva a conoscenza, ma la sua colpa era di esserne venuto a conoscenza e non doveva, sì che non c’era altra soluzione che la sua morte. A nulla gli valse centellinare ai brigatisti ciò che, mai, aveva rivelato ad alcuno: i suoi ex sodali, di cui egli aveva fede che gli sarebbero stati, ognora, fedeli, in combutta con i suoi nemici canonici, tra i quali gli americani di kissinger, la massoneria internazionale, che nel governo era rappresentata dal ministro dell’interno cossiga, arrivarono prima che egli si decidesse a spifferare ai suoi carcerieri il contenuto cambronniano del cantaro che s’identificava con la sua coscienza. Ciò che MI sto Accingendo a trascrivere di mincuzzi su moro è di una perfidia, di una ipocrisia, untuose.
Il mincuzzi non fa che ribadire ciò che andreotti e compagni andavano dicendo un minuto dopo il sequestro di moro e cioè che essi conoscevano moro e ciò che, forse o certamente, sarebbe uscito dalla sua sconosciuta, inconoscibile prigione (mentre, poi, si è saputo che tutti sapevano dove moro era tenuto in quarantena dai brigatisti), non poteva essere la farina del sacco di un uomo libero. “Ergo” andava, metaforicamente, cestinato. Oltre ad accodarsi, vilmente, al coro, mincuzzi: negava che moro avrebbe perorato, come nelle sue lettere perorò, una trattativa tra le autorità statali e i brigatisti, ché la vita sua fosse salva; inoltre, supponeva (e faceva intendere che per lui era più che una supposizione) che se fosse stato, liberamente, in grado di dichiarare i suoi “desiderata” in quel frangente, moro avrebbe, quasi, parafrasato cicerone. Proclamando: “Dulce et decorum est pro populo meo mori“. Niente di più fraudolento, di più menzognero in consonanza con il lercio dire e non dire tipico del “principi della chiesa” per coprire le menzogne ed autoassolversi per averle coperte.
Ecco il brano di mincuzzi: “Gli italiani sono famosi per trovare sempre soluzioni brillanti, ma questa volta ci troviamo tutti a brancolare nel buio. E’ chiaro, per me, che lo Stato non deve trattare, Si tratta tra eguali, tra chi ha la stessa dignità, non con chi si pone, contro la nazione, con chi ferisce la comunità nazionale. E, tuttavia, io spero ancora di ottenere l’impossibile, forse l’inimmaginabile. Ma anche se ciò non avvenisse, cerco di capire questo mistero. Conosco Moro da trentacinque anni, il Moro cristiano che celebrava l’eucarestia tutti i giorni, cioè celebrava la passione di Cristo, e quindi sapeva portare dentro di sé questa dimensione drammatica cristiana. Io adesso immagino di dialogare con lui, con l’uomo intatto, non manipolato dalle Brigate rosse. e mi sento chiedere da lui come deve comportarsi, e io non so suggerirgli altro che la parola di Cristo: non c’è amore più grande che donare la vita per i propri fratelli. Io sono sicuro che la risposta a tutte le domande laceranti che ci poniamo in questo momento si trova nel cuore stesso di Moro. Se lui potesse parlare liberamente, direbbe: non pensate a me, io sono pronto al sacrificio, pensate al bene del popolo, continuate voi a vivere“.
Codesto fariseo ha l’impudenza di distorcere quanto le lettere di moro dal suo carcere, disperatamente, reclamavano, cioè, la vita e che non gli passava, assolutamente, per il cervello di fungere da capro espiatorio. Per il bene di chi? Del popolo? Ma quando mai moro, da uomo libero, ha pensato al popolo? E, poi, qual è lo statuto del popolo? Da chi è formato il popolo, con chi si identifica? Dalle lettere, infine, si evince che moro non ha altro pensiero che per la sua famiglia, per la moglie, ì figli, per il suo adorato nipotino, Non altro che gli importi davanti alla morte. Per le Argomentazioni, testé, Addotte, Opponevo al mio amicale Interlocutore, a cui Accennavo nell'”Incipit” di questo mio Scritto, che il mincuzzi più che pastore di anime, fosse stato un pastore moroteo di democattolici, soprattutto, morotei.
Infatti, essendo molto amico di moro, o tale s’illudeva moro che gli fosse, mincuzzi fu il referente politico barese e, poi, salentino del magliese. Pur molto Giovane nel momento storico, che sto Raccontando, Possiedo Ricordi molto nitidi dei due, per niente, positivi. La Verità fattuale Si Divarica da quella “finta” nelle scartoffie. Di rimando alle mie argomentate Perplessità sulla vita e le opere ed omissioni di mincuzzi e moro, il mio Amico tanto MI contrapponeva: “Caro Gaetano, ho un’idea molto diversa dalla tua su Moro soprattutto, se riflettiamo sull’oggi politico.
Non credo che Mincuzzi sia stato un pastore dei democattolici ed era sulla stessa lunghezza d’onda con Moro per quanto riguarda l’apertura a sinistra. Non dobbiamo dimenticare che non fu facile per molti caldeggiare l’apertura a sinistra che, comunque, consideravano l’apertura al futuro”. L’apertura a sinistra ? Se mai, l’apertura ai sinistri, mefitica ciurma di politicanti: i socialisti, per la più parte, riciclatisi in berlusconiani; i pciniani che, poi, in massa, confessarono, dopo aver mangiato pane e companatico, sin nella/dalla culla, che il pci loro permise, di non essere, mai, stati comunisti, se mai clintoniani.
Deve, però, essere chiaro che sia il centro sinistra sponsorizzato da moro sia il compromesso storico, da moro immaginato con berlinguer, nelle premesse e nei fatti fu un accordo tra l'”establishment” dei tre partiti, il democattolico, il comumista e il socialista, non un progetto di collaborazione, di solidarietà “tra le forse popolari di ispirazione comunista e socialista con quelle di ispirazione cattolico-democratica, al fine di dar vita a uno schieramento politico capace di realizzare un programma di profondo risanamento e rinnovamento della società e dello stato italiano, sulla base di un consenso di massa tanto ampio da poter resistere ai contraccolpi delle forze conservatrici”.
Le forze popolari non sono, mai, state di sinistra! Lottano e sono disposte alle lotta, direi, sino al martirio, se la prospettiva è, solo, scalzare gli agnelli dal trono e mettersi al posto di essi, per fare le medesime cose di coloro che hanno scalzato. Altro non vogliono e non possono, sottoculturalmente, volere, anche, perché non riescono a Percepire la Potenza Trasformatrice dei singoli e delle società da parte della Cultura, se Essa Si Dissolve, come Essere, nei singoli e nella rete sociale, non se i singoli se NE appropriano come avere e nella rete sociale Essa circola come oggetto, di cui i più fortunati o furbi s’ appropriano, per infinocchiare il prossimo o i prossimi. Così, l’apertura a sinistra per moro significava, soltanto, allargare il consenso al partito democattolico che, come prima ho Detto, si arrogava il diritto di identificarsi con lo stato, di essere lo stato, coinvolgendo in codesto esecrabile progetto i sinistri vertici pseudosocialisti e pseudocomunisti con al traino le loro irresponsabili masse, gioiosamente, distratte dai campioni della “pelota”. “Programma di profondo risanamento e rinnovamento” nel governare il paese contenuto nel dar vita al centrosinistra e al compromesso storico? Come, allora, si fa a non porre mente al discorso di moro che in parlamento, il 7 marzo del 1977, a proposito dello scandalo “Lockheed”, difese il suo partito, tuonando, falsamente, risentito: “Non ci faremo processare nelle piazze”?
Moro sarà ricordato dai posteri per la sua tragica morte e per qualche fumosa, non scientifica “boutade”. Non fu uno statista, per ciò che non ha fatto, non ha voluto fare ché, ideologicamente, un conservatore, per ciò che non è stato in grado, capace di fare in tanti anni di milizia politica come: parlamentare, come segretario generale e, poi, presidente di un partito-stato, come più volte ministro, come più volte primo ministro. Come, pertanto, si vede, il “curriculum” di politicante di moro è munito di cadreghini, ma il fatturato da essi prodotto inesistente, soprattutto, a favore del meridione dell’italietta. A quale chiodo, dobbiamo, quindi, agganciare lo “statista”? Al ruminare del coro, che, giammai, ne azzecca una? Ma la Storia, per fortuna, provvede a ridimensionare i sovradimensionati da esso.