Dio, quindi, Poteva, Può essere Intuito, come “l’amor che move il sole e la
altre stelle” e, precipuamente, dal Poeta, per Mallarmé: ”adorarateur du beau(e del Buono, Aggiungiamo NOI) inaccessibile” alle masse volgari, in quanto,
Continua Mallarmé, l’uomo comune, il
borghese, piccoloborghese, proletario, può essere democratico, ma l’Artista
deve essere Aristocratico, non perché da magnanimi lombi discendente, “sed” per
la Forza Drammatica delle sue Conquistate Qualità Intellettuali, della Estetica
Raffinatezza dei suoi Pensieri, della sua Scrittura o dei suoi Tocchi di
pennello o di scalpello o di bulino, che Riempiono i Trattati di Etica e di
Estetica, non rientranti nelle acquisizioni cerebrali degli “alieni” (da
“alius”, altro, estraneo all’Umanità Ideale dell’Uomo), di cui sopra.
Seguiamo,
ora, il “non permanere” di Dante dal punto di vista della sua Produzione
Poetica, Letteraria, Scientifica; delle sue Posizioni Politiche, del suo
assaporare umiliante “lo pane altrui”, dopo essere stato condannato in
contumacia all’esilio.
Fin da Giovane, Dante S’Impegnò nella Ricerca (che è anch’Essa
un “non permanere”) della Verità. Ispirato da Guinizzelli e da Cavalcanti, del
quale Si fece Amicissimo, Compose Rime di Spessore Stilnovistico per Beatrice.
La morte di Beatrice, pur gettando Dante in una profonda angoscia, Lo Spinse,
nonostante tutto, a Compendiare nella “Vita nova” (Raccolta di Rime morali e
allegoriche) la Storia del suo Amore per Beatrice, cioè la Storia Spirituale
della sua Giovinezza.
Fu nel 1289 coraggioso Milite nella battaglia di
campaldino.
La sua Carriera politica culminò nella sua ascesa nel 1300 al
Priorato comunale di Firenze.
Firenze era dilaniata dalla discordia fra due
fazioni guelfe: i Bianchi, più accetti al popolo e i neri, più vicini alla
classe nobiliare.
Nel contrasto fra le due fazioni si mescolavano interessi
economici e odi privati, cupidigie e ambizioni personali.
Dante Condivise in
maniera sempre più decisa la linea politica seguita dai Bianchi.
Nell’ottobre
del 1301, mentre Dante era a roma in ambasceria, per conto di Firenze, dal papa
bonifacio VIII, la fazione dei neri, con a capo corso donati, conquistò il
potere in Firenze con processi sommari e condanne di avversari politici.
Dante,
per varie, false accuse, fu condannato in contumacia all’interdizione perpetua
dai pubblici uffici, ad una multa e all’esilio per due anni. Non essendoSi
presentato a discolparsi, fu condannato ad essere bruciato vivo, se fosse
caduto nelle mani dei suoi persecutori.
Mise in atto con altri fuorusciti
tentativi di rientrare in Firenze con la forza ma, disgustato dalla partigianeria
dei suoi compagni di sventura, fece parte per se stesso e più non rientrò in
Firenze, non da Vivo, né da Morto.
Durante l’esilio, oltre ad essere proteso, affannosamente, incalzato
dalla povertà, ad una sistemazione come uomo di corte, Scrisse due Trattati
Scientifici, rimasti incompiuti: il “De vulgari eloquentia” per Celebrare le
enormi possibilità del Volgare Italiano di assumere i caratteri di Lingua
Letteraria perché la Verità, pur velata nella o dalla Poesia, potesse essere
Fruita da un pubblico più vasto, ignaro della Lingua Latina nella quale si
scrivevano le opere letterarie e scientifiche.
Il “Monàrchia” con il quale il
Poeta volle Intervenire sulla “vexata quaestio” della sua epoca: il rapporto
tra l’autorità laica (rappresentata dall’imperatore) e l’autorità religiosa (rappresentata
dal papa), Affermando che i “due soli” per il Bene dell’Umanità, finalmente in
Pace, avrebbero dovuto collaborare solidarmente senza invasioni di campo da parte
dell’una o dell’altra autorità.
L’esilio Allontanava Dante da ogni
considerazione municipalistica e Lo Sollecitava ad Ampliare il suo Sguardo e i
suoi Interessi Etici e Politici da Firenze all’Italia e al Mondo e, per le
sofferenze , le umiliazioni che comportava, Gli dava il Diritto di Parlare agli
uomini, di Guidarli alla Riconquista della Giustizia, della Verità, della Pace.
Da questa Vocazione Profetica e Riformatrice Nasce la Divina Commedia.
Ma,
anche, l’identità di ognuno di noi è liquida “non permane” e Pirandello in
“Uno, nessuno e centomila” Cala nel personaggio di Vitangelo Moscarda la sua Consapevolezza che il Poeta (Egli fu Grande
Poeta, Scrittore, Artista), al quale è stato dato il Linguaggio, Creando e
Distruggendo, Testimonia, Parafrasando Heidegger, ciò che Egli è. Come Tale,
quindi, è il fondamentale Testimone di ciò che Egli è, Testimonia il suo
“Esserci” ed è il Fondamento stesso dell’ ”Esserci” in cui Si Contestualizza.
Un giorno, Vitangelo Moscarda, in seguito all’osservazione da parte della
moglie la quale gli dice che il suo naso è, leggermente, storto, inizia ad
avere una crisi di identità, a rendersi conto che le persone intorno a lui
hanno un ‘immagine della sua persona, completamente, diversa dalla sua.
Da quel
momento l’Obiettivo di Vitangelo sarà quello di Scoprire chi è egli, veramente. Vitangelo Arriverà alla Follia
che, però, lo farà Sentire Libero da ogni regola, e lo Porterà a Vedere il mondo da un’altra Prospettiva, per
concludere che per uscire dalla prigione in cui la vita rinchiude, non basta
cambiare nome: proprio perché la vita è una continua evoluzione, il nome
rappresenta la morte.
Dunque, l’ unico modo per Vivere in ogni istante è Vivere
attimo per attimo la vita, Rinascendo, continuamente, in modo diverso.
”La vita
non conclude. E non sa di nomi la vita. Quest’albero respiro tremulo di foglie
nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che
leggo, il vento che bevo., tutto fuori, vagabondo”.
E la Poesia? Georges BatailleProclama: ”La poesia apre una finestra
sul silenzio”.
Ecco ”La sera del dì di festa” di Giacomo Leaopardi: ”Dolce e chiara è
la notte e senza vento, /e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti /posa la
luna, e di lontan rivela /serena ogni montagna. O donna mia, /già tace ogni
sentiero, e pei balconi /rara traluce la notturna lampa: /tu dormi, ché
t’accolse agevol sonno /nelle tue chete stanze, e non ti morde /cura nessuna; e
già non sai né pensi quanta piaga
m’apristi in mezzo al petto”.
Plutarco, Citando Simonide, Afferma ”La pittura è
poesia muta, la poesia è pittura sonora”. Ebbene, i Versi 1 – 10 di questo
Idillio non imitano la realtà, “sed” sono essi la Realtà.
Giacomo Afferra la
loro “insensatezza”, dovuta al loro interminato dilatarSi nello Spazio di pace,
di dolcezza, di silenzio infiniti e, attraverso la Bellezza, risale al loro Significato.
Il Poeta “Ascolta” il silenzio in cui è immersa la Natura prima di FarSi un
Dire, nel senso di Esprimere, di Ri-Dire con Commozione ciò che Vede.
E’ un
silenzio assoluto in cui la Natura appare immobile, sembra che non voglia neanche
respirare, non servendoSi dell’afflato del vento e, indifferente, con la Luna
Si Ammaina: sui tetti al cui interno si dischiudono sofferenze inesprimibili; sugli
orti, sempre, gravati dalla fatica, altrettanto, inesprimibile e dalle
preoccupazioni immedicabili che Essa dà all’agricola.
Tu, o Donna, Le Contesta
il Poeta, o Padrona di tante Esistenze, alle quali elargisci affanni,
delusioni, dopo averLe illuse, t’addormenti, facilmente, in una pace serena,
non da tormenti turbata, mentre con la Grazia del tuo ManifestarTi SusciTi in Me un inappagato Bisogno di Corrispondenza
dì Amore. Flaubert Dice che la Poesia è una Scienza esatta, come la Geometria.
In un Testo Poetico nulla può essere cambiato. Alla elasticità del
“significato” si oppone la massima rigidità del “significante” (l’elemento
formale, fonico e grafico).
”Chiare, fresche et dolci acque, /ove le belle
membra /pose colei che sola a me par donna;”. Gli aggettivi non possono essere
cambiati: ad esempio, i suoni di limpide e lucenti non hanno la medesima valenza
fonosimbolica di “chiare”, non hanno le medesime implicazioni connotative. La
Poesia, Deve QualificarSi in termini di Esattezza, non di vaghezza, se si vuole
TeleologizzarLa ad Ascendere nell’Empireo della Bellezza, che è Qualcosa di
Assoluto, Presente in ogni Entità Vivente o non Vivente; Partecipa di ogni
elemento costitutivo del Cosmo, e, laddove Si Rivela, ha Natura indeterminata,
inafferrabile; SI Sottrae ad ogni tentativo razionale che cerchi di catturarLa,
di circoscriverLa, modificarLa, SpiegarLa. Per Nietzsche in “Umano, troppo
umano”: ”La più nobile specie di
bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti
tempestosi e inebrianti…, ma che s’insinua lentamente, che quasi inavvertitamente…ci
si ritrova davanti in un sogno; che alla fine, dopo aver a lungo con modestia
giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli
occhi di lacrime e il cuore di nostalgia”.