Ieri, oggi. Forse, domani. La Repubblica. O quel che resta di quella “cosa di tutti” che non riesce ancora a voltare in “casa di tutti”. E non per via dei revival monarchici, ma per le neghittosità dei repubblicani stessi. Interrotta la linea dritta Dio-Papa-Re-Popolo, è rimasto il Popolo, la “base” della piramide, la “bassa” di questa geografia delle gerarchie. Gerarchie capovolte dalla storia che non ci consegnano nel popolo un altro re, ma un suddito, o peggio, un “ostaggio” affetto dalla Sindrome di Stoccolma. Rombi di trattori, stamattina dalle mie parti, lungo le vie da cui si guadagna la Murgia, che ha il potere della terra. Il popolo non ama lo scettro, e aborrisce le sue stesse celebrazioni. Si è sovrani lavorando e contribuendo, resistendo strenuamente agli insulti della crisi e alle malattie della contingenza. È festa della repubblica se la repubblica è, e si lascia sfiorare con un dito. Se la repubblica esiste, de iure e de facto. Ma un popolo che non ha potere non sarà mai “cosa pubblica”, non vorrà mai la sua stessa sovranità, che gli starà stretta due taglie sotto, se non saprà badare a se stesso. In caso contrario, gli sgoccioli della Repubblica saranno ondate sulla battigia di un antico referendum, in quella che potrebbe essere, il 3 di Giugno, la Festa “alla” Repubblica. Senza vincitori, e con troppi vinti…