Dall’avv. Laura Fano, redattrice della testata www.ilsudest.it e nostra collaboratrice, riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera indirizzata al sindaco Michele Abbaticchio.
Egr. Sig. Sindaco,
come è a Lei noto, in data 16
Maggio 2014 la scrivente, anche quale
scrittrice e redattrice della testata “www.ilsudest.it”,
ebbe ad invitare nella nostra Città la scrittrice Ester Rizzo a
presentare, presso la “Sala degli Specchi” del Palazzo di Città, il libro Camicette Bianche Oltre l’8 marzo, pubblicato da
Navarra Editore. Un testo che ci pone davanti allo scottante quanto mai attuale
problema della sicurezza sul posto di lavoro e dei diritti dei lavoratori,
nonché ci porta a riflettere sulla migrazione e la condizione delle donne di
ieri e di oggi.
Un saggio che
restituisce una memoria individuale e scrupolosa alle lavoratrici morte nel
tragico incendio della Triangle Triangle
Shirtwaist Company di
New
York, il25
marzo
1911, una fabbrica di camicette alla moda, nella quale morirono 146
persone di cui 126 donne, e ben 38 italiane tra cui le sorelle Serafina e
Teresa Saracino, nostre concittadine.
Vite che per decine e
decine di anni sono rimaste nell’oblio, alcune addirittura non identificate e
riunite in un unico monumento funebre: un bassorilievo raffigurante una donna
inginocchiata con il capo chino.
Il rogo è tra i
tragici avvenimenti che si commemorano per la giornata internazionale della
donna. Un
ricordo collettivo che annulla l’identità di ciascuna.
Serafina e Teresa Saracino erano sorelle, originarie di Bitonto, in provincia di Bari.
I genitori si chiamavano Vincenzo e Raffaella. Serafina emigrò nel 1909 a New
York e si fece subito
chiamare Sara.
Teresa era nata il 13 giugno 1883 e anche lei cambiò il
suo nome in Tessie.
Lavoravano insieme come operatrici di macchina, quindi in tutti e tre i piani dell’Asch Building. Sono morte per le gravi ustioni e per asfissia, anche se erano riuscite a
guadagnare una via di fuga.
Fu
il padre Vincenzo,
malato di tubercolosi,
che le identificò. Subito dopo la loro morte, i genitori e un fratello disoccupato di ventidue anni, si
trasferirono a Brooklyn in casa di un’altra figlia sposata.
Madre e padre
volevano ritornare in Italia ma le condizioni di salute di Vincenzo si
aggravarono e, infatti,
dopo otto mesi morì.
A questi sfortunati genitori furono dati mille
dollari di risarcimento.
Doppi soldi per doppio dolore. Sono sepolte insieme al
padre al Calvary Cemetery.
Per
ridare dignità alle vittime del rogo e andare “oltre l’8 marzo”, il Gruppo Toponomastica Femminile con l’autrice Ester Rizzo e l’editore
Navarra, ha lanciato un appello
rivolto a tutte le amministrazioni comunali italiane che hanno dato loro i natali
affinché ricordino le storie di queste donne attraverso l’intitolazione di una piazza, una via,
un giardino o altro luogo di
pubblico interesse. Per restituire loro non una memoria indistinta e generica,
ma un ricordo tangibile, che abbia la qualità di essere personale e nominale,
per riconsegnare alle donne il posto che meritano nella storia del nostro
Paese.
Quella della Triangle Triangle
Shirtwaist Company è una delle tantissime tragedie che nel corso dei secoli si sono purtroppo ripetute a discapito della componente più debole del genere
umano: i poveri.
Comune a tutte le donne di quella
fabbrica, per lo più emigrate, che
produceva le famose ‘camicette
bianche’, è l’indomito coraggio che le ha portate, prima, ad affrontare un viaggio della speranza in condizioni di estrema sopravvivenza e, poi, per ottenere un’autosufficienza
economica, a pagare il costoso prezzo della loro stessa esistenza a causa della noncuranza
di persone che non avevano il diritto di appropriarsene. Argomento questo di grande attualità.
Dopo un viaggio coraggioso e pieno di incognite, giovani, e a
volte giovanissime come Teresa Saracino, cercarono l’indipendenza economica, dando inizio a una nuova vita in un
nuovo mondo che, anche se
ostile, prometteva loro di
affrancarsi
dal bisogno e garantiva la
libertà.
Costrette a operare
in un contesto
difficile e spesso umiliante, le lavoratrici
del Triangle furono mandate al rogo dall’incuria, dalla
superficialità, dall’avidità e
dalla
cupidigia umana.
Recuperare
il loro ricordo nei
luoghi che
le
hanno viste
nascere e in cui
hanno trascorso la loro adolescenza e la prima giovinezza significa tramandare
alle nuove generazioni che il lavoro è fatica e sacrificio, ma soprattutto che nessuna ricchezza è
lecita quando viene costruita calpestando la dignità di altri individui.
La storia delle operaie perite nell’incendio della Triangle Shirtwaist Company merita di essere
ricordata nell’individualità di ciascuna delle vittime.
Il cammino verso la parità ha bisogno di essere condiviso nei suoi aspetti simbolici, che plasmano l’immaginario collettivo in modo irrazionale e persistente: riconoscerne i segni aiuta
a sovrapporre un apparato giuridico efficace
a un comportamento adeguato e
consapevole.
La toponomastica è un rilevatore sociale.
Le città pullulano di regnanti e
politici, pensatori e
scienziati, scrittori e artisti scolpiti
nel marmo, fusi nel bronzo, incisi nelle
targhe stradali: a far loro compagnia, un esiguo
numero di donne, in
particolare nella nostra città, in gran parte sante e religiose, cerca faticosamente di spezzare la monotona sequenza di corpi
femminili imprigionati negli stereotipi
pubblicitari.
Con l’inserimento dei nomi delle
sorelle Saracino nell’odonomastica locale, il Comune di
Bitonto, da cui partirono,
renderà onore non solo alle
due sventurate ragazze, ma a tutti quei milioni di
migranti spinti ad abbandonare la propria terra per bisogno.
Per tale motivo, la scrivente, nel
farsi portavoce dell’istanza avanzata dall’autrice e nel condividere appieno la
stessa, è a richiedere al Comune di
Bitonto, di scrivere il nome delle sorelle Serafina e Teresa Saracino sulle mura cittadine, a memoria e a monito: intitolare una strada, una piazza, un giardino, per restituire luce al coraggio e alla dignità lavorativa non solo delle nostre concittadine, ma
anche di tutte le donne e gli uomini, di ieri e di oggi, che si sono avventurati per mare e per terra, migrando in terre
straniere, per aver
‘osato’ di voler
vivere una vita degna
di essere
vissuta, perché credere in un futuro diverso è un atto intriso di coraggio, per migliaia di persone che
hanno sperato, e
sperano ancora oggi, di uscire dal circolo vizioso della povertà e della fame.
Nel confidare che questa mia
istanza, incontri la sensibilità dell’amministrazione comunale e venga accolta positivamente, porgo
Un cordiale saluto.
Avv. Laura Fano