Prima della bagarre, in Consiglio c’è stato spazio per la riflessione.
In particolare, Emanuele Abbatantuono (PD) ha voluto condividere qualche riflessione alla luce delle giornate appena trascorse che hanno visto i rappresentanti delle diverse Chiese che si affacciano sul Mediterraneo condividere riflessioni e scambiarsi esperienze, spesso impregnate di sofferenze. Riflessioni che hanno coinvolto, venerdì scorso, anche tutte le nostre comunità parrocchiali che radunatesi all’interno del Concattedrale e del Santuario dei Santi Medici hanno incontrato alcuni delegati.
“Il tema della pace che ha accompagnato queste giornate non può non farci pensare al motto presente sotto il nostro stemma: AD PACEM PROMPTUM DESIGNAT OLIVA BOTONTUM – ha dichiarato il piddino -. E se ci rende orgogliosi e fieri il fatto che l’altare, la sedia e il crocifisso presenti sul palco durante la celebrazione Eucaristica sono stati presi dalla nostra Cattedrale, non possiamo al tempo stesso, come comunità cittadina, non fermarci a riflettere sull’invito che Papa Francesco ha rivolto a ciascuno di noi, a farci carico, della sorte e della esistenza dei fratelli che sull’altra sponda del grande lago di Tiberiade — come amava definire il Mediterraneo Giorgio La Pira — vivono quotidianamente il martirio.
La pace non può essere derubricata soltanto a parola affettuosa o a concetto emozionale, ma al contrario implica la «costruzione concreta di un cammino di coesione sociale, di incontro tra le persone e di dialogo tra uomini e donne».
Guardate cari amici e colleghi, ciò che sta avvenendo con il coronavirus ci deve far comprendere che non è più possibile sostenere che i conflitti al di là del mediterraneo non ci appartengono.
Se è stato possibile che un virus, partito da una zona sperduta della Cina, arrivasse fino alle nostre porte, è allora evidente che anche ciò che accade a diverse centinaia di chilometri dalle nostre coste non può e non deve farci dormire sonni tranquilli.
Continuare a sostenere che ciò che accade in Libia, in Siria non ci riguarda, è un errore clamoroso dalle conseguenze, probabilmente, catastrofiche.
Il Mediterraneo non divide le nostre storie da quelle dei nostri fratelli che vivono nel sud del mondo. Non le divide ma invece le unisce!
Parlando di mediterraneo e di frontiera, non possono non venirci alla mente le parole di Alessandro Leogrande (un grande giornalista e scrittore della nostra terra pugliese scomparso ad appena 40 anni) quando nel suo libro “La frontiera” scriveva che “c’è una linea immaginaria eppure realissima, una ferita non chiusa, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico. È sul margine di questa frontiera che si gioca il Grande gioco del mondo contemporaneo. Questa soglia è inafferrabile, indefinibile, non-materiale: la scrittura vi si avvicina per approssimazioni, tentativi, muovendosi nell’inesplorato, là dove si consumano le migrazioni e i respingimenti, là dove si combatte per vivere o per morire”.
I tanti focolai di instabilità e di guerra sia in Medio Oriente sia in vari Stati del Nord Africa così come fra etnie e gruppi religiosi, senza dimenticare “il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, ci deve portare come comunità cittadina, a leggere con maggiore interesse la storia di un mondo spesso piagato e piegato dalla miseria.
Perché, riprendendo le parole di Papa Francesco, il fine ultimo di ogni società umana rimane la pace, e «non c’è alternativa alla pace, per nessuno».
E allora concludo con l’invito che Giorgio La Pira nel 1960 rivolse ai bitontini. Un invito che ancora oggi risuona più attuale che mai.
La Pira ci invitava ad essere coraggiosi: “tutto un popolo si deve muovere, come quando si facevano le cattedrali; muovetevi tutti insieme, levate, sradicate le cause del malessere della povera gente, date un segno concreto, non sentimentale o padronale. Avere coraggio di fare giustizia per preparare una città giusta di fratelli, dove il pane si spezza per tutti.
Non possiamo dunque chiuderci in un atteggiamento di “indifferenza” o perfino di “rifiuto”.
E la politica ha il dovere di non essere debole. Ha il dovere di rompere questa spirale che ci porta a vivere con un senso di paura, che ci porta ad alzare le nostre difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione.
Alla politica il compito di rispondere al grido di dolore dei tanti martiri del nostro tempo con l’impegno non solo di promuovere percorsi di accoglienze ma al tempo stesso di sporcarsi le mani per costruire quella pace che è la sola capace di generare futuro”.