Polvere, marciapiedi
spaccati. Carcasse di case e palazzi cominciati, mai terminati. Pozzanghere.
Fango dopo la pioggia. E pietrisco, nei giorni di secca. Una sola parola: periferia.
Sono le strade della guerra civile del 1997, il terribile “tutti contro tutti” che,
poco più di dieci anni fa, in un Paese devastato dal Comunismo e dal crollo
della economia interna, avrebbe causato, in Albania, circa 3mila vittime.
La casa di Ina è piccola, si trova in un vicolo
chiuso, a nord della Capitale. Da fuori, mattoni verdi, segni di vernice
scrostata e vestiti stesi al sole. All’interno, spazi piccoli, pieni di profumi
di pietanze tipiche, caffè turco e fumo di sigarette.
“Nel’97, questa casa abbiamo dovuto abbandonarla.
Gruppi di uomini armati facevano irruzione e devastavano, sparavano. Era
orribile”. La voce di questa donna
piccola, rugosa e innocente trema un po’. Le lacrime sembrano voler abbattere
la porta marrone scuro dei suoi occhi.
“Mio marito ? stato ferito. Una mattina eravamo
in casa, avevamo alcuni galli, durante il giorno correvano liberi sulla strada.
Cinque, sei ragazzi sono arrivati, piombati dal nulla. Senza avere il tempo di
capire, mio marito era a terra, il calcio di una pistola lo aveva colpito sul
retro del capo. Io gridavo, mentre si portavano via tutto”.
Un Governo in Albania, nel
’97, non esisteva. Le forze dell’ordine non erano in grado di fermare l’orda
dei civili in rivolta. I depositi di Stato di armi e munizioni, una volta
forzati, si erano trasformati in sorgenti dell’orrore: nel Paese circolavano
illegalmente armi, in enorme quantità. Chiunque aveva un fucile e ognuno lo
usava.
Ribelli da un lato, forze
di Polizia ed esercito dall’altro. E tra gli uni e gli altri, criminali comuni,
ragazzi che sfruttavano il disordine sociale per continuare a commettere
violenze.
L’Albania era un Paese
isolato, abbandonato a se stesso. I giovani scappavano, quelli che restavano si
davano al crimine, le famiglie perdevano tutto: soldi, case, proprietà.
L’economia moriva, le
imprese chiudevano, la politica del discusso presidente Sali Berisha, ex Primo
ministro, ex Presidente della Repubblica, ex leader del Partito Democratico
(uomo da telecamera nei giorni contemporanei) stava uccidendo il Paese.
Dopo l’assalto di Vlora,
(la quieta città di mare protagonista della precedente puntata del reportage)
la dichiarazione dello stato di emergenza, l’intervento dell’Onu. Il disarmo e,
infine, la lenta ripresa.
“I cittadini, dopo la pacificazione e il
superamento dell’Anarchia, sono rientrati in Albania. Dalla Grecia, dalla
Turchia. Dall’Italia, dalla Romania, dalla Germania”, ricorda Ina, mentre serve, con antica cortesia e
gentile ospitalità, un caffè nero e grumoso.
Nei giorni di quel lento
ritorno, fatto di paura, incertezze e speranze, Ina ha perso il marito. Le strade
si sono a poco a poco ripopolate. La sua casa, invece, si è svuotata del tutto.
Oltre ai beni, la piccola donna ha perduto anche l’uomo, l’unico, della sua
vita.
I galli,
invece, ci sono ancora. Piccole bestie gracchianti, che sanno portare allegria
in quella strada corrosa dai ricordi, dal dolore, dalla solitudine, dalla
polvere bagnata.