Alessandro Donati è una persona tutta d’un pezzo, e una di quelle persone che crede ancora che lo sport è e deve essere sacrificio, impegno, allenamento, sana competizione.
Per questo motivo, allora, può essere definito un uomo sportivo controcorrente e un eroe solitario, che ha cercato di scoperchiare la pentola maleodorante del doping che si annidava e si annida nelle istituzioni sportive nazionali e internazionali. Che non è un fatto personale ma sistemico. Con l’aggravante che l’atleta ci mette la faccia, ma tutti quellii che
E il medico sportivo, che ha osato aprire la bocca e non girare la testa dinanzi a certe situazioni, si è visto volutamente rovinare la carriera, oltre a subire un paio di episodi che hanno cercato di screditarlo dinanzi all’opinione pubblica. Due su tutti: l’atleta pugliese Annamaria Di Terlizzi, e il campione olimpico Alex Schwazer.
E ieri sera, il 70enne maestro di sport è stato ospite in città grazie all’associazione “Libera” di Vincenzo Brascia e ha dialogato del suo libro, “Lo sport del doping” con il giornalista Nicola Lavacca. Volume in cui ripercorre la sua difficile storia di allenatore e cosa rappresenta ieri e oggi il doping. Che ha intaccato campioni di indubbia fama come Emanuela Di Centa, Gianni Bugno, Maurizio Fondriest, e tanti altri. Anche Marco Pantani, “i cui responsabili della morte sono il suo direttore sportivo, il suo sponsor, la federazione italiana e internazionale, Conconi e il suo staff”, ha sottolineato Donati.
Già, Conconi. Tutto o quasi per lui parte dall’incontro con questo personaggio, nel 1981. “Quell’anno ero responsabile nazionale di mezzofondo e a Roseto e lo incontro, e in qualche modo protagonista di molti successi alle Olimpiadi 1980 a Mosca. Mi ha spiegato alcuni metodi non proprio leciti che usava, e voleva che io indicassi atleti che potevano vincere. Io avevo nove atleti, il più vecchio aveva 22 anni e il più giovane 17. Nessuno di loro ha accettato”. Ma è un dato di fatto che dal 1984 Donati è stato licenziato dalla Nazionale.
Il peggio, però, deve ancora venire. E coincide con la medaglia di bronzo conquistata da Giovanni Evangelisti ai mondiali di Atletica a Roma del 1987. La specialità è il salto in lungo. L’azzurro salta 8m e 40cm, ma poi si scoprirà che la misura è stata volutamente truccata dai giudici per farlo andare sul podio. Quando lo sport è anche corruzione. “Prima dei campionati del mondo di Roma – ha rivelato l’autore – si erano stabilite le medaglie che dovevano essere vinte. Si era in piena guerra fredda e certi equilibri geopolitici non potevano essere toccati”.
E a denunciare che quel salto era truccato è stato proprio Donati. È l’averlo fatto ha significato la fine della sua carriera.
“Ma poi – ha ricordato Donati – il sistema ha cercato di vendicarsi di me prima con Antonella di Terlizzi, ipotizzando una presenza eccessiva di caffeina poi in realtà inesistente, e poi con Schwazer, squalificato due volte per doping”.
Ma lo sport è davvero tutto marcio? “C’è tanta parte sana, soprattutto a livello locale – ma quella minoranza non pulita ha in mano le redini di come devono andare le cose”.
Ci sarebbe anche una legge sul doping, datata 2000, scritta anche da Alessandro Donati con l’aiuto di Guido Calvi “La legge sul doping italiana ha fatto enormi passi in avanti, sicuramente. Ma è ancora non attuata completamente, perché stabilisce che le competenze dell’antidoping dovevano passare al ministero della Salute entro 120 giorni, cosa mai avvenuta ancora. Andrebbe uniformata alla legge antidroga, anche perché il doping è diventato anche un grosso affare per la criminalità organizzata”.