Piombò un giorno, in una notte plumbea di triste
solitudine, nella home di Facebook un link youtube “Look at the moonlight” (https://www.youtube.com/watch?v=MA87EH_a2Ng), una cover della più nota “Guarda che luna” di Fred
Buscaglione cantata da un mio amico.
Un pupazzetto attaccato con un filo alla luna, “the
mother Moon” ed ecco che arriva la voce calda di ruggente blues di Pheel (Filippo) Balliana.
E così, incuriosita, chiacchierando un po’ con l’uomo
sempre in giro per il mondo, son riuscita a far raccontare, ai nostri taccuini,
l’avventura musicale del nostro concittadino.
Domanda: Figlio della musica d’ogni Paese in cui approdi, quanto sei bitontino?
Risposta: «Sono figlio di due bitontini, ma sono nato
ad Andria ed ho vissuto i primi 14 anni della mia vita a Bitonto. Sono
Bitontino? Ho vissuto 12 anni a Roma,
2 a Parigi, e adesso da tre anni in Brasile, che sento come casa».
D. Quali sono stati i tuoi esordi? Quando la dea “musica” ti ha chiamato a sé?
R. «Posso dire che già da piccolissimo cantavo e
ballavo, la mia pagella di quinta elementare (frequentata presso la “N. Fornelli”)
termina con questa frase: “particolarmente apprezzate le doti
artistiche e canore” che il mio maestro Giovanni Vacca ha saputo certamente valorizzare nelle varie recite
di fine anno.
Sin da piccolo ho avuto un grande interesse per lo show biz americano e ricordo di aver
imparato velocemente l’inglese da MTVe dalle canzoni.
Sicuramente la bella musica non mancava in casa, mia
madre cantava e mio padre era proprietario di una discoteca negli anni 70 quindi avevamo tutti i vinili
“d’importazione” che ho divorato per tutta la mia adolescenza».
D.
Quindi musica diversa, contaminata da vari generi…
R. «Predominava la disco music e il soul, che penso sia
la matrice della mia musicalità. Artisti come Isaac Hayes, Diana Ross,The Temptations, The Commodores sono stati la mia
colonna sonora per tanti anni.
Molto meno la musica italiana, ed è per questo penso
che ho sviluppato una grande curiosità
per il mondo.
Trasferitomi a Roma per studiare all’università ho
raggiunto il palco che ritenevo più vicino, il club e grazie ad un amico deejay
ho cominciato a fare il vocalist in discoteca.
A differenza degli altri, non mi piaceva parlare macantare, improvvisando sulla musica dei deejay. Avendo un buon timbro e un
ottimo inglese, ho cominciato a lavorare in tutta Italia e ogni week end ero in
giro».
D.
Ma c’è un incontro che ti ha segnato?
R. «Sì, è stato il momento in cui ho incontrato il
produttore Joe T Vannelli, pugliese anche lui (il dj è infatti originario di Taranto, ndr), ma da sempre a
Milano, che mi ha prodotto il primo
disco, che è uscito in tutto il mondo e si è guadagnato anche una
recensione sulla rivista americana “Billboard”.
Era tutto quello che desideravo! Quindi ho mollato il corso di sociologia “La
Sapienza” e ho cominciato a fare questo lavoro.
La collaborazione con Joe è stata molto prolifica e
abbiamo fatto quattro dischi insieme, che mi hanno fatto fare il giro del mondo».
D.
Una vita continuamente in tour da San Francisco a Los Angeles, senza
tralasciare l’Italia…
R. «Vivendo a Roma ho cantato molto al Supperclub, che
è stata la fucina di performer incredibili (Rosalia de Souza tra gli altri), posso dire di aver sperimentato tanto
in questo luogo magico, che ha sedi anche all’estero, quindi appena ho avuto
l’occasione mi sono esibito anche a San
Francisco e a Los Angeles.
Cantare
per gli americani, intrattenerli e farli ridere era ed è la mia più grande
soddisfazione essendo from Bitonto.
Ho lasciato Roma e ho cominciato a vivere tra Parigi e Bari, qui mi esibivo con la mia band “Beautiful Sinners“,
con cui ho letteralmente imparato a cantare il jazz e a Parigi cantavo nei cabaret burlesque, come La Machine du Moulin Rouge dove ho
sviluppato ancora di più le mie doti performative e di attore».
D.
Attraverso i social, tanto criticati, però ti è accaduta una cosa meravigliosa…
R. «Tre anni fa ho manifestato un evento che mi ha
cambiato la vita. La mia cantante preferita di jazz Melody Gardot in seguito ad un mio messaggio via Twitter, ha scoperto la mia voce e mi ha invitato a
conoscerla.
Siamo diventati amici e con lei ho fatto la traversata dell’Atlantico in barca a vela, da Buenos Aires a Florianopolis in Brasile.
Un mese in barca a vela con un astro internazionale del jazz».
D.
Come è stato il tuo arrivo in Brasile?
R. «Il mio arrivo in Brasile è stato a dir poco
folgorante. Ho amato questa terra come se l’avessi cercata per tutta la vita e
quindi ho lasciato Parigi e mi sono
trasferito a Rio.
Qui a Rio collaboro
con un centro culturale infantile, Para
Ti ONG all’interno della favela di Villa
Canoas fondato dalla famiglia torinese Urani.
Insieme ai gerenti della scuola Lidia Urani e Mauro Villone,
rispettivamente pedagoga e giornalista, abbiamo ospitato la produzione del
video “Mira” della stessa
Melody Gardot, e stiamo iniziando dei corsi di musica.
Stanno fluendo artisti e personaggi da tutto il mondo
pronti ad aiutare a a fare arte sociale e ho il privilegio di conoscere diverse
eccellenze umane».
D.
Davvero esemplare tutto questo. Ma ora quali progetti hai nel cassetto?
R. «In questo momento sto registrando il mio primo lavoro da solista a Natal che uscirà l’anno prossimo: è un lavoro che sto sviluppando
da anni. Ho già registrato dei brani a l’Havana,
altri in Italia, e ho finalmente trovato le sonorità che mi rappresentano di
più in Brasile, quindi posso dire che le contaminazioni sono tante, ma verranno
chiuse in un lavoro in lingua inglese, con parole qui e lì in italiano,
portoghese e francese.
Una babilonia molto musicale!
Collaboro anche con i due dandy producers francesi Bart
& Baker e a fine estate uscirà un mio nuovo disco in collaborazione con il barese Nicola Conte».
D. Pheel, in un Paese così colorato e festoso come il Brasile e allo stesso
tempo malinconico e povero, cosa fai quando hai bisogno di serenità e pace per
scrivere e cantare?
R. «Quando sono triste o malinconico vado vicino al
mare, sento una calma profonda quando sono vicino all’elemento acqua. Amo
cantare alla mamma luna che alla fine è responsabile dei nostri cambi d’umore.
Ma sto imparando sempre più, vivendo in Brasile, che la tristezza è una grande illusione e
che dobbiamo essere grati ad ogni respiro che facciamo e così vado avanti,
portando avanti una instabile ma libera carriera di artista indipendente».
D.
Ed ora una curiosità calcistica. Il Brasile ha ospitato i Mondiali di calcio
2014, cosa è stato essere lì e viverli da vicino: per chi hai
tifato?
R. «Stare in Brasile durante i Mondiali è stata un’esperienza emozionante. Non immaginavo tanto
fervore per il calcio. Il cento per cento della popolazione veste “verde
amarello” (verde giallo) anche i bambini in fasce o gli anziani in
carrozzella, tutti lì per tifare per la Selecao.
Io ero a Natal, dove tra l’altro l’Italia ha perso, per
cui dopo l’infelice performance degli azzurri ho tenuto per il Brasile che è
stato eliminato con la “goleada” storica della Germania, quel giorno era il compleanno del mio compagno per cui
dopo 5 minuti di lacrime, abbiamo tagliato la torta ed è partita la samba».
Bitonto e tutti i fan di Pheel Balliana, attenderanno
con ansia i prossimi lavori del cantante che canta e incanta il mondo, sapendo
di essere tutti in un piccolo angolo del suo cuore sognante in giro per la
sfera, che come una grande mamma, ci tiene tutti a bordo.
Ma riuscirà il suo borgo natio a far esibire questa perla internazionale?