La poesia è per sua natura odeporica. Possiede nella sua anima nomade una tendenza invitta al nomadismo. L’universo, infatti, che sarebbe la meta di questo spirituale girovagare, contiene già dentro di sé la parola “verso”: una vocazione e un destino. Dunque. Nino Gentile è sbocciato dalla tradizione sartoriale bitontina- oh, sì, oggi che sembra aver perduto ogni tratto identitario persino commerciale, pare impossibile che la nostra città sia stata rinomata per questo – per farsi affermato professionista in tutto il mondo. Celebri atelier d’alta moda lo hanno accolto, finanche a Parigi, nonostante i cugini d’oltralpe siano schizzinosi anzichenò. Insomma, Nino – figlio d’artista, non dimentichiamolo – ha illustrato quest’arte antica e e raffinata in ogni angolo di globo covando nel petto due grandi urgenze: trasmettere il suo sapere ai giovani e mantenere viva la luce del suo prezioso sentire. Ecco perché, ad un certo punto della sua vita, ha preso a mettere per iscritto i palpiti più segreti del suo cuore. E non si è più fermato, lavorando di cesello e di bulino cotidie, per limare la forma affinché esprimesse fedelmente le sue sensazioni e i suoi sogni. Ardua e certosina impresa, che solo al pluripremiato Gentile (a proposito: “cognomen omen”) poteva riuscire. Così, nei suoi delicati componimenti, raccolti nella plaquette dal titolo “Un verseggiare di amici”, vergato a quattro mani col sodale Giuseppe Santoro, Edizioni del Faro, vi entrano con pensosa leggerezza l’amore ed i suoi radiosi strali, la Puglia e la sua struggente bellezza, l’anima e le sue inquietudini scavanti. Il dettato poetico di Nino un lirico respiro che da strofe ben congegnata si allarga fino a riempire il mondi di chi legge e in quelle parole riconosce pure il suo vissuto. Che, poi, è la magia di ogni libro autentico che si rispetti.