“Guardare la realtà e imparare a descriverla”. Risuona come un monito tecnico la
frase di Paola Caridi rivolta a chi, come lei, è giornalista di professione.
È stato presentato ieri, presso il Torrione Angioino,
il libro “Gerusalemme senza Dio. Ritratto di una città crudele” di Paola
Caridi. Ad introdurre la serata, la confessione di un legame urbanistico
che la giornalista ha riscontrato tra Bitonto e Gerusalemme: la pietra bianca
delle strade e dei marciapiedi.
La giornalista è stata tra i fondatori di “Lettera
22”. Collabora con “Limes” e “La Stampa”. Scrittrice di svariati libri e
curatrice del blog invisiblearabs. A moderare la serata sono stati Nicola
Abbondanza e la professoressa Gianna Sammati, presidente
dell’Associazione Agorà. Presenti all’evento anche alcuni componenti
dell’Associazione Kenda (cooperazione di volontariato internazionale) che sarà
ospitata a Bitonto per proporre eventi per una raccolta fondi, finalizzati alla
costruzione di un ospedale a Gerusalemme.
Di primo impatto il titolo appare un ossimoro. L’intenzione
dell’autrice, però, non è quella di escludere Dio. Privare della sua natura
religiosa una città che è intrisa di santità, è un modo di osservare la vita di
Gerusalemme e i suoi abitanti, ed è un modo di scrivere: laico.
Uno sguardo soggettivo ma obiettivo, quello della
giornalista. Complesso, infatti, il distacco dai parametri europei per
interpretare il mondo politico israeliano. Se, fino ad ora, le descrizioni
sulla città sono state limitate e “se noi
giornalisti non riusciamo a descrivere la complessità di Gerusalemme, è
perché abbiamo perso l’abitudine di guardare per le strade, guardare qual è la
storia degli abitanti”, spiega l’autrice.
Con l’obiettivo di vivere la realtà della città santa
e di narrarla, Paola Caridi nel 2003 si trasferisce a Gerusalemme e vive lì per
dieci anni. La giornalista ritrae il suo soggiorno come diverso da quello dei
suoi colleghi, perché diversa è stata la sua possibilità di osservazione: “non ero una giornalista di passaggio, ero
la madre di Francesco. Questo vuol dire che ero stata accettata all’interno
della comunità. Avevo uno sguardo familiare, non individuale. La mia vita lì è
stata quella di una persona normale a Gerusalemme”.
Eppure l’ossimoro c’è. La Città, santa per eccellenza,
che dovrebbe essere un modello spirituale, nella sua vita quotidiana è
frammentata, crudele, è una città in conflitto. Gerusalemme, costellata di
posti di blocco, concede, tuttavia, un intervallo da quell’aria bellica e irrespirabile:
il Malha Mall , “è un elemento importante
nella composizione attuale di Gerusalemme”. È così che l’autrice definisce,
nel suo libro, questo supermercato in cui “si riesce persino a scherzare” ma “chi si concede la parentesi nel confortevole spazio del grande
magazzino sa benissimo che quella non è la realtà. È uno spazio fintamente
naturale”.