Don Maurizio Patriciello sale le scale che portano alla sagrestia della Basilica dei Santi Medici sul far della sera, mentre varchi d’azzurro s’aprono nel muro grigio delle nuvole. Ha passo deciso e sguardo pensoso sopra la necessaria mascherina. «È un amico della nostra comunità, perché già ospite qualche anno fa, e la sua alta testimonianza contro le ingiustizie nei confronti dei più ultimi ci aiuta a leggere in profondità il mondo in cui viviamo», lo saluta con affetto don Vito Piccinonna, il parroco rettore della Basilica. Dunque. Chissà come deve sentirsi un «prete coraggio» di questi tempi: «No, ma che coraggio – si schermisce con un sorriso don Maurizio – siamo solo preti che seguono la strada indicata dal Signore ovunque siano destinati, sempre fedeli alla sua parola. Così puoi ritrovarti a Roma, come a Caivano o a Bitonto a fare il prete, terre difficili, perché anche voi qui non ve la passate benissimo. Magari altrove ci sono ipocrisie e maschere e sembra che vada tutto a gonfie vele, ma noi sappiamo che dobbiamo affrontare problemi in ogni luogo». Però, lei ha avuto la forza di sfidare la malavita che impera nella Terra dei Fuochi. «C’è la camorra tradizionale e quella in giacca e cravatta, i delinquenti e gli imprenditori che con i primi fanno loschi affari. Ed è di questi che ho più paura perché potrei anche non riconoscerli, come avvertiva il procuratore Raffaele Cantone. Adesso che tutti vengono per complimentarsi e farsi un selfie con me, chiedo sempre: “Scusi, a chi ho stretto la mano?”. Vede, nella mia città hanno sciolto per infiltrazioni camorristiche la giunta e, appena insediato, il sindaco neoeletto ha già ricevuto una lettera di minacce». Insomma, è una battaglia durissima e il muro di gomma, che attutisce e annulla le parole di chi lotta, non aiuta affatto. «Sì, la malavita organizzata ama chi vive di omertà, che viene considerata quasi una virtù nel meridione, quante volte ho sentito persone inorgoglirsi perché si fanno “i fatti propri”. Qualche giorno fa, hanno amputato le gambe ad un ragazzo campano perché spappolate da persone che nessuno ha visto. Ecco, l’omertà è il nemico più difficile da vincere». Peculiarità triste di questo tempo è l’odio, spesso gratuito, anche sul web: «Già, i terribili casi di Willy e di Maria Paola non solo mi hanno fatto soffrire tanto, ed ho registrato tanta violenza verbale sui social, che, poi, inevitabilmente può partorire violenza fisica. Persino Arcigay ha strumentalizzato le mie parole, fraintendendole clamorosamente. Anche i pregiudizi sono un guaio». E l’antidoto può essere l’amore cantato dal Vangelo: «La parola “perdono” è la più bella che ci sia – s’accende col classico accento partenopeo – solo che viene mal compresa. Chi perdona non è fragile, ma ancora più forte, perché la giustizia non può essere voglia di vendetta. Se in Calabria pronunciassero di più questa parola non ci sarebbero le faide fra le cosche, che condannano alla morte chi ancora deve nascere».. Infine, il sacerdote s’illumina, parlando della cara Nadia Toffa, l’inviata delle Iene stroncata dal cancro: «Avevamo un’amicizia bella, vera, sincera, delicata. Ci siamo conosciuti proprio nella Terra dei Fuochi, ci siamo scambiati messaggi spirituali e, prima di andare in coma, fu lei a chiedere che fossi io a celebrare il suo funerale. Nadia mi ha lasciato un senso di bellezza nel cuore ed uno splendido rapporto con la madre Margherita».