Nella sala Murat, dal 31 maggio al 10 giugno era impossibile non notare un quadro, grande, proprio come l’artista che l’ha dipinto.
Si trattava di “Disputa tra Veneri”, uno dei lavori esposti per la mostra “Nikolart 2018” dell’Accademia di Belle Arti di Bari.
Creatore del meraviglioso olio su tela è il bitontino Francesco Albanese, già vignettista per il nostro giornale.
Con quest’opera e con “Ritratto del mio gemello”, il giovane artista ha dato la propria interpretazione di “Fabbriche creative”, tema dell’esposizione, patrocinata dalla Regione Puglia, dal Comune di Bari, dalla Camera di Commercio di Bari, dall’Università degli Studi di Bari e dal Corpo Consolare di Puglia, Basilicata e Molise.
Per volere del prof. Graziano Menolascina, curatore della mostra, infatti, ogni studente avrebbe dovuto rappresentare la spettacolarizzazione dell’arte nell’era contemporanea, in cui la classicità delle tecniche artistiche si intrinseca alla contemporaneità delle idee.
Ed ecco allora “Disputa tra Veneri”, una composizione di tre figure che si contendono il concetto di bellezza.
«Si tratta di una disputa tra i vari canoni di bellezza» ci spiega Francesco. La figura centrale, che nella posa ricorda la Venere di Milo, è la Venere per eccellenza. Accanto a lei, a sinistra, c’è una donna che incarna i canoni di bellezza rinascimentali, opposti a quelli postmoderni, rappresentati dalla ragazza a destra.
«Queste Veneri sono in conflitto tra loro – continua Albanese – e ognuna cerca di tirare a sé la Venere centrale, ossia il concetto generale di bellezza».
Non casuale il tappeto rosso ai loro piedi, che rimanda ovviamente al red carpet delle passerelle, e l’architettura alle loro spalle.
«Sullo sfondo c’è un’architettura antica, ormai in decadenza, che però mantiene comunque la sua bellezza. Come canta De André, la bellezza è un “bene effimero” soprattutto temporale, ma nonostante ciò conserva i suoi valori principali».
Le ragazze rappresentate sono tre persone reali che l’artista bitontino ha fotografato e ha fatto mettere in posa proprio per realizzare il dipinto. Come reale è il “suo gemello”.
La tela più piccola, infatti, era inizialmente un semplice autoritratto, «ma l’atmosfera, i colori e la mano con il pennello, mi hanno fatto assumere un’aria abbastanza presuntuosa e narcisista. Secondo me, l’autoritratto deve rispecchiare oltre l’esteriorità soprattutto l’interiorità del soggetto e in quest’opera non mi sentivo rappresentato. Per questo ho pensato di intitolarlo ironicamente “Ritratto del mio gemello”. È come una sorta di Dottor Jekyll e Mister Hyde, perché quell’autoritratto non ritrae la mia vera persona».
Ciò che emerge chiaramente dalle due opere è però l’indiscusso talento di Francesco Albanese che, ne siamo sicuri, lo porterà lontano.
Ad maiora.