La Compagnia del fauno ha presentato al Traetta di Bitonto una inedita Divina Commedia in due atti in forma
musicale.
Nonostante gli attori siano cantanti lirici professionisti, i loro
canti sono risultati fruibili anche da un pubblico non appassionato e più
giovane.
La sapiente regia di Giuseppe
Petrosillo, che interpreta anche il ruolo di Dante Alighieri, ha saputo condensare, in poco più di un’ora e
trenta di spettacolo, i momenti più salienti del viaggio allegorico del sommo
poeta dall’abisso degli inferi allo splendore etereo dei cieli del Paradiso,
dove rifulgono il trascendente amore per Beatrice e quello eterno di Dio.
La
scenografia quasi inesistente è stata sopperita da video onnipresenti
proiettati sullo sfondo del palcoscenico, e dai costumi degli attori, molto ben
caratterizzati.
I video in particolare, appositamente realizzati per l’opera in
oggetto, si sono rivelati estremamente suggestivi perché connotati da elementi
surreali ed onirici atti a comunicare allo spettatore forti emozioni. Le immagini
sono riuscite poi a fondersi alla perfezione con i movimenti dei danzatori che,
amalgamandosi al canto impeccabile degli attori, hanno dato vita ad un unicum
teatrale personalissimo.
La
commedia inizia con una consapevolezza, quella che i sogni dell’uomo siano in
realtà una vita parallela alla nostra che, non di rado, confluisce in essa fino
a confondervisi. E Dante è, sia pur nella sua immensa cultura, uno di noi: infatti
entra in scena dalla platea, per dare inizio, una volta salito sul
palcoscenico, al suo incredibile sogno.
Sulle memorabili parole “Nel mezzo del
cammin di nostra vita” la selva oscura di Dante si abbatte su di noi, per
renderci partecipi del suo tormento
interiore e del suo senso di angoscia e smarrimento. Virgilio (Michele Lapenna)
lo soccorre nel momento più cupo, secondo il volere delle tre donne celesti,
Beatrice, la Vergine e Santa Lucia, preannunciandogli un viaggio nel dolore e
nell’immane sofferenza, prima di riuscir “a riveder le stelle” e la sua
salvezza, sulla collina del Purgatorio.
L’Inferno ha così inizio. Il
traghettatore delle anime dannate, Caronte (Pietro Barbieri) attraversa l’Acheronte nella sua barca
mentre i danzatori lo accompagnano nel viaggio mimando onde e fiamme.
L’incontro di Dante e Virgilio con Paolo e Francesca è tra i più strazianti dell’opera mentre i
video propongono corpi volanti aggrovigliati: quello di Francesca (Valeria Ventura)
pare più un fado che un canto lirico, tant’è intriso di passione e sofferenza,
e la bravissima cantante sa
interpretare con pathos il suo complesso ruolo. Paolo invece, stranamente, giace a terra come tramortito da quel
Cupido che lo ha accecato di passione, bendandogli gli occhi. In realtà, come
sappiamo, nella Commedia, Paolo e Francesca si mostrano al poeta attraverso
l’aria vorticosa, sospinti dalla passione “quali colombe dal disio chiamate con
l’ali alzate e ferme al dolce nido”, e, mentre Francesca parla con Dante, Paolo
le resta accanto, fino alla fine del suo colloquio. Lo intendiamo dai famosi versi “questi, che mai
da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante”. E ancora, quando lo
stesso Dante conclude: “mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea”. Quindi la scelta di mostrare Paolo come se fosse morto, e per giunta trascinato
via dai danzatori, non è stata, a mio avviso, ben ponderata, tuttavia rimane
pur sempre una rispettabilissima scelta registica.
Quando
Dante incontra nel II girone del VII cerchio, tra i violenti contro se stessi,
il fidato consigliere di Federico II di Svevia, Pier delle Vigne (Matteo
Montalto), suicidatosi per l’invidia e le calunnie dei cortigiani di
palazzo, saremo nuovamente innanzi ad una scena spaventosa: l’ombra gigantesca
di un albero nodoso e contorto farà infatti da sfondo al dialogo tra l’uomo
politico ed il poeta: il pathos si riacutizza nei gemiti dell’albero in cui,
per contrappasso, è stato trasformato Pier delle Vigne. Lacrime e sangue
sgorgano da colui che, come in vita non fu all’altezza di adempiere al suo
compito e, per vigliaccheria, rifiutò la sua condizione umana, uccidendosi, per
questo ora non è più degno di disporre
del proprio corpo che appartiene ormai alla selva dei suicidi.
Nell’VIII bolgia
dell’VIII cerchio, Ulisse (Matteo Montalto) “l’uomo dal
multiforme ingegno”, è l’ultimo dei personaggi evidenziati dal regista
nell’Inferno. I video ci propongono immagini di mari sconfinati, metafora della
vita umana in eterno movimento. L’eroe narra a Dante di quand’egli si fece
vincere dalla tentazione di varcare le Colonne d’Ercole e di quando, pochi mesi
dopo, egli fu travolto dal vortice che fece inabissare la sua nave nei pressi
del monte del Purgatorio, a lui ovviamente sconosciuto. Traspare
dall’attore-regista, lo sguardo pietoso di Dante nei confronti di colui che
infiammò gli animi del suo equipaggio al profferir della celebre incitazione
“Considerate la vostra semenza, fatti non foste per viver come bruti ma per
seguir virtute e canoscenza”; di colui che simboleggia la volontà umana che
ambisce ad ampliare i confini del sapere e ad esplorare l’ignoto, ma che, con
le sue sole forze, cioè senza l’aiuto di Dio, non può che naufragare.
Tra
i tanti personaggi del Purgatorio, la regia si sofferma su quello di Pia dei Tolomei assassinata dal marito
per gelosia, tra le anime pentitesi in extremis e quindi soccorse in tempo
dalla misericordia divina.
L’abbandono di Dante da parte di Virgilio, che non
può più salire oltre, riempie l’animo del poeta di sgomento, ma la celestiale apparizione
nel Paradiso Terrestre di Beatrice (la
bravissima insegnante di canto lirico Mariangela
Caputo), con la quale attraverso
la sfera del fuoco ascenderà al Paradiso, gli farà rivivere le palpitazioni del
vero ed unico amore della sua giovinezza
e lo colmerà di gioia. Con Beatrice, sfolgorante nella sua luce di beata,
incantato dal suo canto cristallino, Dante si sentirà “puro e disposto a salire
alle stelle”. Piccarda Donati (Valeria Ventura), che figura nel primo
dei nove cieli, quello della luna, è il primo dei personaggi incontrato da
Dante nel Paradiso assieme a Costanza d’Altavilla,
madre di Federico II di Svevia. Ella, nel suo tragico destino in vita fu
costretta con la forza dal fratello Corso Donati a rinunciare al convento
dell’Ordine delle Clarisse, nel quale aveva scelto di rinchiudersi quale sposa
di Cristo, per sposare un ricco rampollo dei più facinorosi Neri. Piccarda racchiude in se stessa l’ordine, la
carità e la grazia e fa intendere al poeta la condizione delle anime sante del
Paradiso, ossia il loro non desiderare altro al di fuori di ciò che hanno, in
quanto tutto è voluto da Dio nella cui incommensurabile bontà trovano pace.
Col
perdersi di Dante nella luce di Dio e nel suo infinito Amore “che move il sole
e l’altre stelle”, tra canti ormai corali, termina lo spettacolo tra i tanti
sentiti applausi del pubblico bitontino.