In attesa della grande festa cittadina dei Santi Medici, che si terrà, come sempre, la terza domenica di ottobre, e cioè il 21, ieri all’interno della Basilica dedicata ai due santi anargiri, c’è stata la celebrazione liturgica che, da calendario, è il 26 settembre.
In una chiesa gremita di gente, a celebrare la funzione religiosa, per l’occasione, è monsignor Nicola Girasoli, nunzio apostolico in Perù da giugno 2017 e, prima ancora, a Trinidad e Tobago e nella regione caraibica, dal 2011 al 2017, e in Zambia e Malawi, dal 2006 al 2011.
Ad accoglierlo è don Vito Piccinonna, che ricorda la figura del fondatore della Basilica, monsignor Aurelio Marena, a cui Girasoli era particolarmente legato, in quanto fu lui ad ordinarlo diacono: «Lei, come papa Francesco, è venuto dall’America Latina, dalla fine del mondo, ma quando si ama, non ci sono distanze, non c’è fatica che tenga. I Santi Medici Cosma e Damiano, medici del corpo e dello spirito, ci ricordano che la misura alta della vita è la santità e la sfida è quella di percorrere questa strada insieme, come loro, come chiesa locale e chiesa universale. Le chiediamo di farci dono del suo solare magistero, perché possiamo anche noi attingere all’unica fonte di gioia che è l’essere sempre più capaci di esprimere la carità di Cristo che si fa speranza per tutti, soprattutto per i poveri, i malati, gli emarginati».
«È una grande emozione essere qui e celebrare con voi l’eucarestia. Questa Basilica ricorda molto la mia infanzia e, questa sera, sono qui non come vescovo, ma come devoto tra i devoti, un pellegrino, per celebrare i nostri carissimi Santi Medici Cosma e Damiano, con cui è rimasto un legame grande sin da quando i miei genitori mi portavano qui da Ruvo, per venerarli in questo santuario che abbiamo visto crescere nella nostra giovinezza. Che emozione ritrovare qui don Vincenzo Cozzella, don Peppino Ricchiuti che erano i miei superiori, quando ero nel seminario vescovile di Bitonto» spiega monsignor Girasoli, ricordando anche la figura di don Minguccio Vacca, attraverso una medaglietta, consegnatagli negli anni del seminario: «È una medaglietta che rappresenta i Santi Medici e che, da allora, dal ’73, porto sempre con me. Ho servito la Santa Sede nei cinque continenti e i santi Cosma e Damiano mi hanno sempre accompagnato, sostenuto. Questa sera siamo in questo santuario per guardarli, per raccontare loro le storie del cuore di ciascuno di noi. Noi tutti i giorni preghiamo i Santi Medici, ma durante le feste si avvicinano a noi e quindi noi siamo qui per guardarli più da vicino, per chiedere un aiuto. Ognuno di noi ha qualcosa di speciale da chiedere. E loro guardano al cuore di ciascuno di noi. Oggi vogliamo dire ai Santi Medici che abbiamo bisogno di loro, perché noi siamo deboli. Le nostre preghiere a volte non arrivano facilmente e direttamente a Dio e abbiamo bisogno dei santi che ci aiutano a farle arrivare. Ma questa sera chiederemo loro di aiutarci anche ad avere sempre le braccia spalancate».
E guardando il crocifisso sull’altare aggiunge: «Mai, in tanti anni, ho visto, servendo la chiesa in tutti i continenti, un crocifisso con le braccia chiuse. Sono sempre spalancate, come la Chiesa che vuole papa Francesco, con le braccia aperte, dove tutti si sentano accolti e nessuno escluso. Una chiesa che non condanna o giudicare i fratelli e le sorelle, ma per perdonare, amare, attraverso lo sguardo amorevoli dei santi. La Chiesa deve stare nel mondo, ma non deve essere mondana. Questo è il pericolo per tanti tra noi sacerdoti. Dobbiamo stare al servizio dei nostri fratelli, di tutti coloro hanno bisogno. Non è sufficiente essere credenti. È importante, ma non sufficiente. Dobbiamo essere credenti e credibili. E per farlo dobbiamo avere sempre le braccia spalancate. E la nostra chiesa, purtroppo, anche per tante piaghe che abbiamo, per tante ferite che abbiamo provocato, sta perdendo credibilità».
Riprendendo le parole del pontefice, che quest’anno è stato anche in Perù, il nunzio apostolico continua spiegando come la santità non abbia nulla a che vedere con la perfezione: «La santità è un cammino di fragilità, in cui i nostri santi ci aiutano a riempirci di Dio, ad amarlo al 100%, esattamente come Dio ci ama, per essere credenti e credibili, per essere nel mondo senza essere mondani. Per esserlo dobbiamo avere i piedi sulla terra, ma il cuore deve essere in cielo».
Ricordando, ancora, gli anni della giovinezza, prosegue ricordando le parole di Marena: «Monsignor Marena ci diceva sempre che ci vuole la prudenza, perché dove c’è prudenza c’è luce e pace. La prudenza ci aiuta ad avere i piedi sulla terra e il cuore nel cielo. I Santi Medici ci aiuteranno in questo».
Girasoli conclude, infine, l’omelia parlando della figura del beato Nunzio Sulprizio, raffigurato da una statua all’interno della Basilica e considerato protettore degli operai, dei giovani: «Di questo beato era devoto monsignor Marena e tra qualche anno diventerà santo. Sarà proposto come modello per tutti i giorni. Monsignor Marena sarà contentissimo, dato che è stato promotore e ha scritto anche una bellissima biografia. Un santo giovane per i giovani, che può fare in modo che i giovani si avvicinino sempre di più a Dio».