Per il gup del Tribunale di Bari Rosa Anna Depalo gli elementi ci sono per procedere contro cinque ex dirigenti dell’istituto di credito Unicredit Banca d’Impresa SPA, accusati di aver provocato il fallimento della società “Parco Don Vito” di Bari, che era controllata interamente dalla Divania (l’azienda che, a Bitonto, aveva una delle sedi, oggi trasformata in rudere fatiscente nei pressi dell’entrata meridionale della città).
Lo stato di abbandono dell’edificio, ricordiamo, dura dal 2011, quando l’azienda fallì a causa dell’esposizione, negli anni, a prodotti finanziari derivati che provocarono la perdita di centinaia di milioni di euro. A causare il tutto, stando a quanto emerge dalle indagini e dal processo ancora in corso per bancarotta fraudolenta, sarebbe stato il comportamento fraudolento di dirigenti e funzionari di Unicredit, che, con la vendita di quei prodotti finanziari, avrebbero esposto l’azienda a rischi di perdite molto ingenti.
Di ieri è la notizia, dunque che gli imputati, sono stati rinviati a giudizio dal Tribunale di Bari, che ha valutato, sulla base della richiesta fatta due anni fa, se ci fossero o meno gli elementi. Nella prima fase processuale, come spiega il gup, ad essere valutata non s l’innocenza o la colpevolezza degli imputati, ma la possibilità o l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio, e dunque di vedere se ci siano elementi validi per continuare.
Ad essere indagati sono Mario Aramini, che all’epoca dei fatti era direttore generale della Unicredit Banca d’Impresa, Alfredo Protino, responsabile della Direzione regionale Centro Sud di Unicredit, Francesco Conteduca, responsabile erogazione crediti, Giuseppe Cittadino, procuratore speciale, Luigi Boccadoro, responsabile della filiale Bari Centro di Unicredit.
Per l’accusa, avrebbero ingannato Francesco Saverio Parisi, proprietario della Divania, spingendolo con operazioni milionarie di compravendita immobiliare. L’udienza per il crac della società “Parco Don Vito” inizierà il 5 febbraio 2019 a Modugno.
Ma tutto iniziò nel 2005, quando Divania era in difficoltà per causa di operazioni su derivati «la cui natura truffaldina – secondo il dispositivo del Tribunale – aveva già cagionato il dissesto».
Vicende per cui è in corso un altro processo con 16 imputati, tra i quali gli indagati del crac “Parco Don Vito”. L’accusa è sempre bancarotta fraudolenta.
Sottolineando il collegamento tra il fallimento della società e le operazioni finanziarie sotto accusa, il gup ha valutato positivamente il rinvio a giudizio, perché «l’imponente materiale probatorio prodotto a corredo della richiesta di rinvio giudizio offre imprescindibili elementi di valutazione che sembrano sostenere l’impostazione accusatoria».
A nulla vale anche il fatto che alcuni degli imputati sarebbero già stati processati e prosciolti per il reato di truffa aggravata, in quanto si trattava, di un’accusa riguardante «una sequenza storico-fattuale e giuridica di gran lunga anteriore il fatto “storico e giuridico” focalizzato nel presente processo, in cui agli stessi predetti si imputa l’aver indotto in errore Parisi Francesco, facendogli compiere le operazioni dolose pianificate nella convenzione del 2005».
Non è quindi applicabile il principio “ne bis in idem”, che impedisce che un individuo sia processato due volte per la medesima cosa, in quanto nella configurazione del reato, manca la corrispondenza storico-naturalistica tra condotta, nesso causale ed evento con l’oggetto del precedente procedimento.